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Il Settimanale, In punta di spillo, Rubriche
Pubblicato il Maggio 27, 2021

La presidente Von der Leyen parla del cristianesimo come grande bene per l’Europa

 

Nei giorni scorsi la signora Von der Leyen, presidente della Commissione europea, è stata ricevuta dal Papa. Al termine, il comunicato stampa della Santa Sede ha parlato di “buoni rapporti”. Affermazioni dovute, si potrebbe dire, come si conviene a corretti rapporti diplomatici. Eppure ad accendere uno spiraglio di maggiore ottimismo sono le dichiarazioni della stessa presidente quando parla del ruolo del cristianesimo nello scenario europeo: «In tempi di polarizzazione, populismo e nazionalismi, la forza unificatrice della religione, che si impegna per la coesione e la riconciliazione, ha un significato immenso».

Sembrano passati anni luce da quel 29 ottobre del 2004 quando a Roma, i Capi di Stato di 25 Paesi firmavano in mondovisione il Trattato che adottava la neonata Costituzione europea. E Dio sa quante polemiche avevano accompagnato la sua formulazione, soprattutto per la contrarietà della Francia e di qualche altro compagno di merende, che si opposero allo spasimo perché non fossero citate le radici cristiane da cui venivamo.

Eppure tutti sapevano o avrebbero dovuto sapere quali erano le nostre radici. Soprattutto avere coscienza precisa che Europa non è concetto geografico, commerciale o politico. Essa è essenzialmente una identità culturale, di cui la filosofia greca, il diritto romano e la religione giudaico cristiana costituiscono le gambe su cui ha sempre camminato.

La storia ci insegna che fino al secolo XV essa tenne un piede anche a Costantinopoli. Poi arrivarono i turchi a cacciare gli ultimi cristiani, obbligandoli a riparare a Mosca, che fu chiamata la terza Roma. Di fatto però l’Europa fin dall’VIII secolo, con Carlo Magno, aveva definito in maniera netta la propria identità, soprattutto per distinguersi religiosamente e socialmente da quel mondo musulmano, che da due secoli stava andando alla conquista del mondo per piegarlo all’islam.

Sappiamo anche che non sempre gli abitanti delle terre cristiane furono all’altezza della loro ispirazione evangelica, ma ciò non toglie che fu da questa matrice che presero a crescere i germogli di quello che fu il grande sviluppo della filosofia, della teologia, delle esplorazioni e delle conquiste, del Rinascimento e più avanti dei grandi scenari della ragione illuminista, del sapere tecnico scientifico e di quello industriale. Cose che fecero dell’Europa la madre e il motore del mondo.

Forse era nascosta tutta nell’Ora et labora di Benedetto da Norcia la forza che fece da volano perché l’Europa diventasse quello che è diventata. Operare per cambiare il mondo, ma alla luce di quella sapienza che si sprigiona dalle pagine del Vangelo.

Poi, in realtà, sappiamo che piega presero le cose. Quando Galileo Galilei nel 1615 scriveva a Madama Cristina di Lorena che «è intenzione dello Spirito Santo insegnarci come si vadia al cielo e non come vadia il cielo», forse neppure lui si rendeva conto che si stavano mettendo le premesse per la separazione tra scienza e fede. L’una considerata autentica, l’altra semplicemente una credenza.

Cosa sia oggi l’Europa non è facile da definire. A fiuto verrebbe da dire che essa ormai, svuotata dall’interno, è ridotta a civiltà della tecnica e del commercio diffuso. Una crisi acuita dal fatto che l’Islam sembra sempre più agguerrito e determinato nel proporre una base spirituale per i popoli che vi aderiscono, mentre cresce il fascino della mistica buddista o quella delle filosofie orientaleggianti.

Una Europa alle prese con un vuoto d’anima, che vive di qualche occasionale trapianto (vedi immigrati) ma senza che questo vada a rimettere in piedi la sua originaria identità spirituale. Ecco perché le parole della signora Von der Layen potrebbero essere un piccolo lume di speranza, sempre che non si riducano a diplomazia di circostanza.

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