Dal “tutto e subito” al definire le priorità
Lo Spirito santo, con i suoi doni, ci aiuta a capire ciò che è veramente importante; ma per chi fosse sordo alla voce dello Spirito, è venuto ad aggiungersi un fatto che obbliga a riflettere: il lungo periodo di pandemia che stiamo soffrendo. Sembra che almeno chi ha responsabilità di governo ne abbia ascoltato la voce. E’ riemersa, infatti, una parola che si era quasi perduta – la parola priorità. La società del benessere aveva indotto a pensare che tutto è possibile, tutto è a portata di mano, come le tantissime merci in un supermercato.
Il “tutto e subito”, specialmente nelle generazioni più giovani, è diventato quasi un diritto. Così si è persa la capacità di scegliere tra ciò che conta e ciò che non serve, tra ciò che è necessario e ciò che non lo è, tra ciò che è prioritario, appunto, e ciò che può aspettare. Si potrebbero fare molti esempi. Nel campo dell’economia c’era la tendenza a ridurre tutto al problema della crescita. Le uniche difficoltà che meritavano considerazione erano quelle riguardanti lo sviluppo economico. Tutti sapevano che le conseguenze peggiori di ogni crisi economica ricadevano sui poveri e sui lavoratori, ma poco importava di quello.
Forse, è lecito pensare che l’attenzione data alla crescita fosse appena la maschera per nascondere il vero e unico obiettivo – il profitto (naturalmente di chi già era ricco). Ora ci si accorge che c’è qualcosa di molto più importante della crescita del PIL – la salute della popolazione; e tutto ciò che è indispensabile per la salute. Ci si accorge che esistono priorità che rendono tutto il resto secondario e dilazionabile. Molte volte dobbiamo fare la fila: è tempo che impariamo anche a mettere in fila, dentro di noi, i nostri desideri.
Il primato del diritto alla salute
Sorge un dubbio: è il coronavirus a imporre questa priorità, oppure lo era anche prima? Era giusto pensare che il sistema produttivo deve essere al servizio del profi tto di pochi? Non esisteva già anche prima un cancro che produceva milioni di vittime? I milioni di bambini che morivano (e continuano a morire) di fame, non erano sotto gli occhi di tutti? Secondo i benpensanti del neoliberismo, che dimensioni avrebbe dovuto
raggiungere la torta del profitto, perseguito dai ricchi, per poi essere divisa tra i miliardi di affamati? Il cancro del nostro sistema produttivo nei paesi democratici è stato tenuto in qualche modo sotto controllo grazie alle lotte sociali e ai governi che le hanno interpretate più o meno bene. Oggi, però, il venir meno di una classe lavoratrice omogenea, e l’uso della robotica, rendono difficili i controlli e sempre più facili le grandi ricchezze in mano di pochi. La pandemia del coronavirus può essere, in questo senso, un’allerta importante. Ci fa vedere che la salute e il benessere di tutte le persone deve avere una priorità su tutto, anche sul postulato ormai indiscusso della crescita economica.
Produrre per veri bisogni
In fin dei conti, si dovrebbe cambiare il sistema: ossia, non produrre per vendere e, per questo, creare bisogni falsi, allo scopo di ricavarne un guadagno; ma produrre per soddisfare i veri bisogni di tutto l’uomo e di tutti gli uomini (Cf. Paolo VI: Populorum progressio). Anche la crescita importante, ma deve avere come scopo, non il profitto di pochi, ma i bisogni di tutti. Questo altro sistema non potrà garantire agli avidi i più alti guadagni subito; ma certamente a lungo termine offrirebbe a tutti ciò di cui hanno bisogno e che potrebbe anche renderli soddisfatti. Qualcuno ha detto che la gioia più bella è quella di godere della gioia degli altri.
San Tommaso d’Aquino, nel suo Commento al Credo, ha scritto che nella vita eterna (cioè nella pienezza della vita) “il trovarsi insieme a tutti gli altri sarà una compagnia massimamente piacevole, perché ciascuno avrà tutti i beni in comune a tutti e ciascuno amerà l’altro come se stesso e godrà di quello altrui come del proprio bene. E ciò farà sì che, aumentando la gioia e la felicità di uno, aumenti la felicità di tutti”. Se questa è la meta alla quale tendiamo, non diverso dovrebbe essere il cammino che vi conduce. Colgo l’occasione per consigliare questo testo, nella traduzione italiana fatta dai Domenicani di Bologna: Tommaso d’Aquino, CREDO. Commento al Simbolo degli Apostoli, Bologna 2012.