Don Francesco Cavazzuti – Sì, ci sarà una luce
Il commosso saluto della Chiesa di Carpi a don Francesco Cavazzuti ritornato al Padre il 7 agosto
Don Francesco Cavazzuti
Lo scorso 9 agosto, nella Cattedrale di Carpi, la comunità diocesana riunita attorno al suo Pastore, monsignor Erio Castellucci, ha accompagnato alla liturgia del cielo don Francesco Cavazzuti, sacerdote carpigiano, per decenni missionario in Brasile dove, nel 1987, subì l’attentato nel quale perse la vista. Presente tra i concelebranti il vescovo di Cesena-Sarsina monsignor Douglas Regattieri. Sono stati letti i messaggi pervenuti da parte dei Vescovi Emeriti Elio Tinti e Francesco Cavina, da un monaco benedettino brasiliano e sono intervenuti i familiari per un ricordo. E’ stata data lettura del testamento spirituale e una dettagliata biografia di don Cavazzuti, curata dal Centro missionario diocesano, ha tracciato i passaggi salienti della vocazione e del ministero sacerdotale di don Cavazzuti. In rappresentanza della Città di Carpi presente alle esequie il sindaco di Carpi Alberto Bellelli.
Di seguito riportiamo l’omelia del vescovo Erio.
“E dopo, ci sarà una luce, Signore?”. Nei “Salmi dal buio”, dettati poco dopo l’attentato che lo aveva reso cieco, don Francesco si fa questa domanda e dà subito la risposta della fede: “Sì, ci sarà una luce”; una fede, la sua, senza incertezze ma non certo senza travagli. La perdita della vista, nel gesto violento che doveva essere in realtà il suo assassinio, diventò la luce attraverso la quale vedeva in profondità le cose. Quel 27 agosto 1987 è certamente il giorno di una grande svolta, un drammatico giro di boa nella sua vita.
Dieci anni fa, in una intervista telefonica trasmessa alla televisione, lui stesso ne diede una lettura profonda, riferendo la frase dettagli da un catechista della parrocchia brasiliana nella quale era tornato dopo cure in Italia: “Tu hai perso la vista, ma noi abbiamo aperto gli occhi”. L’oscurità fu il prezzo che don Francesco pagò per la difesa dei contadini poveri di fronte al potere dei latifondisti e dei politici che li proteggevano. Il suo coraggio e il tragico evento dell’attentato “aprirono gli occhi” alla gente, li resero cioè più consapevoli di come il Vangelo sia incompatibile con l’ingiustizia. Colpisce, tra l’altro, che parlando dell’attentatore, sia pubblicamente sia nei dialoghi personali, più che definirlo killer, lo chiamasse per nome: Antonio.