Il
Attualità, Chiesa
Pubblicato il Gennaio 4, 2022

Il bilancio del vescovo Castellucci ad un anno dal suo ingresso in Diocesi

"E' stato un anno intenso. Questa Diocesi è compatta e c'è grande vitalità"

Monsignor Erio Castellucci, vescovo di Carpi

 

Monsignor Erio Castellucci, vescovo di Carpi, traccia il bilancio del suo primo anno dall’ingresso nella diocesi di Carpi (Intervista di Paolo Tomasone, fonte Resto del Carlino Modena)

 

“Un anno intenso, benché segnato dalla pandemia e quindi, di nuovo, fatto di restrizioni e di progetti andati avanti a singhiozzo. Ci sono stati tanti incontri con gli organismi diocesani, con le persone e con le parrocchie, e personalmente sono molto contento. È chiaro che si dovrebbe fare molto di più perché arrivano tante richieste che purtroppo non si riescono a soddisfare”. Tempo di bilanci per don Erio Castellucci che il primo gennaio ha festeggiato il suo primo anno dall’ingresso nella diocesi di Carpi, dopo la scelta di Papa Francesco di unirla “in persona episcopi” con quella di Modena-Nonantola.

 

Ha scoperto dei “tesori nascosti” quest’anno?

“A dir la verità non ci sono state grosse sorprese, perché ricoprivo la carica di amministratore apostolico già da un anno e mezzo e avevo imparato a conoscere Carpi. Mi stupisce sempre favorevolmente la vitalità di questa diocesi che è piccola, ma molto compatta e anche con un bel senso di appartenenza. È una diocesi piccola, ma non soffre complessi di inferiorità”.

 

Ci saranno state anche delle difficoltà…

“Quelle sono soprattutto mie: avendo già responsabilità di un’altra diocesi e da qualche mese un incarico alla Cei è sempre meno il tempo che posso dedicare direttamente a Carpi. Ma ci sono molte collaborazioni, a partire dal vicario generale, il collegio dei consultori, il consiglio presbiterale e quello pastorale. Non è quella presenza diretta come vorrei tante volte che ci fosse, ma c’è un contatto vivo e avverto una consonanza. Ovviamente non va tutto bene e a volte occorre mettere insieme stili pastorali diversi. Qui c’è un presbiterio molto vario – tra chi è originario di Carpi e chi viene da altre diocesi e da altre chiese del mondo –, questa è una ricchezza ma a volte è anche una difficoltà perché ci sono attese diverse. Però vero è che nelle 38 parrocchie non si vive un senso di depressione o di remissione”.

 

Quali sono le esperienze che possono tenere unite le due diocesi?

“I 25 incontri che abbiamo fatto nella prima parte dell’anno tra gli organismi diocesani delle due chiese hanno portato a un desiderio di collaborazione a tanti livelli e all’orientamento a creare delle realtà interdiocesane, per esempio, con la pastorale giovanile, la catechesi, la Caritas e i migranti. Poi penso alla Città dei Ragazzi e al Nazareno che sono un punto di riferimento sull’interculturalità e interreligiosità, che stanno già collaborando”.

 

Che prospettive ci sono per il futuro di Carpi?

“L’impressione è che la linea del papa e del nunzio sia quella di unificarla con Modena, ma non sappiamo se e quando. Ci sono una dozzina di diocesi in Italia unite ‘in persona episcopi’ e questo fa pensare che i tempi siano abbastanza lunghi perché di fusioni non ce ne sono ancora state. Ci prepariamo ad ogni eventualità. Adesso cerchiamo di collaborare il più possibile e diffondere alcune attività pastorali e di vivere momenti comuni tra i preti delle due diocesi, in modo che se un giorno – supponiamo fra qualche anno – fosse questa l’idea, siamo pronti senza traumi all’unificazione. Se invece si andasse avanti così, con un nuovo vescovo, ci sarebbero comunque esperienze di collaborazione già collaudate che fanno bene all’una e all’altra diocesi”.

 

A cosa sono chiamati i cristiani di Carpi oggi?

“A condividere con tutti le ansie di questo tempo ma anche le speranze, immettendo nelle vene della società una speranza che si chiama Gesù Cristo. Noi cristiani non siamo solo quelli che si rimboccano le maniche assieme a tutti gli altri ma anche quelli che vedono quello che accade come un’opportunità per richiamare il senso della vita e della morte e dire una parola di speranza che vada oltre la morte”.

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