Trappola d’ardesia
CulturalMente, di Francesco Natale
“Maddalena Incerti, anonima commessa di provincia, ce l’ha scritto nel cognome: la sua insicurezza cronica è la condanna a una vita mediocre in cui rischia di affondare. Tutto cambia quando soccorre una donna in stato confusionale e scopre che l’identità da lei fornita è falsa. Il mistero s’infittisce quando la sconosciuta riesce a scappare dall’ospedale in cui è stata ricoverata, pronta a far esplodere la propria rabbia e le proprie ossessioni in un vortice di sangue, morte e vendetta.” È questa la sinossi di “Trappola d’ardesia”, thriller breve edito da Sàga Edizioni firmato da Roberta De Tomi.
Per questo nuovo appuntamento di CulturalMente ho intervistato l’autrice del libro.
Roberta, tu hai scritto libri di numerosi generi. Come mai questa scelta di voler spaziare così tanto?
Spaziare tra i generi è per me l’occasione di mettermi alla prova, di comprendere i limiti e le potenzialità della mia scrittura. Sono partita, venticinquenne, scrivendo storie introspettive che mi hanno permesso di analizzare diversi aspetti del mio essere e del mondo intorno a me. È stato un po’ come ricomporre un puzzle complesso che, credo, non sarà mai completo.
Credo che, soprattutto in questi ultimi due anni, la mia scrittura abbia trovato una propria definizione, anche se non sarà mai definitiva. Continuerò a spaziare, di certo con maggiore consapevolezza, cercando però il mio centro in due, massimo tre generi. Fermo restando che, se qualcuno mi propone dei progetti interessanti, non mi tiro indietro! Mi piace sperimentare…
Da dove nasce la volontà di scrivere un thriller?
La volontà è stato il frutto di una storia che voleva essere scritta. Ora, io sono convinta che la creatività non si basi sull’ispirazione – che considero la molla che spinge all’atto, non il fondamento – ma è qualcosa che, se allenata con costanza, funziona sempre. È un po’ come allenare un muscolo ogni giorno. Più la alleni, più darà dei frutti maturi. Del resto, qualsiasi opera d’arte nasce dalla fantasia e dalle emozioni, ma non bastano se non si padroneggia la tecnica. Premesso ciò: questo thriller è nato da una molteplicità di suggestioni, letture, film che si sono sedimentate per poi portarmi a “far scattare la trappola”. Le idee che hanno composto la trama sono state la conseguenza. E qui devo dire che l’ispirazione è stata una grande molla.
Scrivi partendo da una scaletta ben definita o lasciandoti trasportare dalla fantasia in corso d’opera?
“Trappola d’ardesia” è nata da un trasporto creativo in cui, però, ogni momento della storia si srotolava lucidamente davanti a me. Da alcuni anni, invece, parto sempre da un soggetto e da una scaletta che mi permettono di evidenziare gli snodi narrativi e, soprattutto, di sviluppare una trama coerente e credibile in relazione al genere. Almeno, faccio del mio meglio affinché sia così.
È stato difficile emotivamente per te scrivere un thriller o ti sei divertita?
Questo thriller mi ha totalmente coinvolta; posso dire che mi sono divertita a scriverlo. Inoltre è basato su temi cui tengo molto: la ricerca dell’identità, già presente in “Alice nel labirinto”, costante nella mia “poetica” di autrice, l’analisi delle radici del male e il bisogno dell’amore, che diventa oggetto di interrogazione. Credo che, in una società come la nostra, siano temi cruciali e attuali, con il corollario del no alla violenza che si abbatte contro chi è fragile. Donne, in particolare, ma non solo: la violenza è qualcosa che può toccarci tutti; è qualcosa che può annullare la nostra umanità, a prescindere dai nostri orientamenti di genere e sessualità.
Per questo va combattuta tutta, senza creare discriminanti, violenze di serie A e di altre serie. In tutto questo, forse l’amore, quello libero e disinteressato, può essere una chiave catartica e di liberazione. Ma è un forse: la risposta la lascio a chi mi legge. Oltre i temi, spero che prima di tutto trovi una storia che possa intrigare e appassionare al punto giusto.