Un Samaritano, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 10 luglio 2022
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo? ». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Commento
Il vangelo di questa domenica è il famoso brano della parabola del buon samaritano. La prima parte introduce alla parabola ed è il dialogo di Gesù con un dottore della legge, dunque un uomo esperto di scrittura. Questo esperto si rivolge a Gesù in modo provocatorio, dice il vangelo “per metterlo alla prova”, cioè con l’intento di vedere quali erano le idee di questo nuovo maestro così famoso. Così gli sottopone un quesito importante: «cosa devo fare per ereditare la vita eterna?», cioè la vita di Dio per la quale siamo stati creati e che è il nostro sommo bene.
Gesù, con uno stile tipico dei maestri dell’epoca, risponde alla domanda con una domanda e chiede qual è il messaggio centrale della scrittura. La risposta coglie nel segno, anche Gesù la pensa così, il cuore della legge è l’amore verso Dio e verso il prossimo. Troviamo qui in bocca al dottore della legge l’insegnamento fondamentale che altrove nei vangeli propone Gesù stesso. La risposta unisce alcuni passi celebri dell’Antico Testamento, in particolare una citazione dal libro del Deuteronomio (Dt 6,5) sull’amore a Dio e dal libro del Levitico (Lv 19,18) sull’amore al prossimo.
La conclusione di Gesù “fa questo e vivrai” è molto bella anche per noi: in quel verbo “vivrai” c’è tutta la speranza di una vita ben spesa ancora oggi. Ma il racconto non finisce qui. Il dottore della legge rilancia e chiede nuove spiegazioni su un tema particolarmente spinoso. Chi è il mio prossimo, cioè chi devo considerare secondo la legge oggetto del mio amore, quanto si deve allargare il raggio delle persone verso cui riversare le mie attenzioni?
Il versetto di Lv 19,18 dice che il prossimo sono i figli del tuo popolo e più avanti Lv 19,33-34 aggiunge gli stranieri residenti sul territorio di Israele. Dunque chi devo considerare il mio prossimo? A questo punto Gesù risponde non con un ragionamento ma con il racconto del buon samaritano, uno dei testi più belli di tutto il vangelo. L’uomo assalito dai briganti è ignorato dal sacerdote e dal levita ma aiutato dal samaritano. C’è molto di sorprendente: prima di tutto che uomini importanti della religione di Israele passino oltre, poi che un samaritano, nemico e disprezzato, sia capace di provare compassione.
Gesù presentando un samaritano come personaggio positivo costringe l’ascoltatore a superare i preconcetti e ad aprirsi a una visione dell’amore senza barriere; spiazza l’interlocutore portando fuori dai recinti della religione e della legge l’interrogativo sul prossimo e facendone una questione di umanità: ci sono uomini che provano compassione per il prossimo e nessuno può circoscriverli in categorie di razza, religione o nazionalità. Si deve notare la grande cura nella descrizione dei dettagli con cui il samaritano si prende cura del malcapitato. Una ricchezza di verbi e particolari che danno la sensazione della qualità dell’amore, che è attento, compassionevole, perseverante, tutto il contrario della risposta a un precetto legale.
Alla fine la domanda di Gesù elimina ogni restrizione sul concetto di prossimo e ribalta la questione: non chi è il mio prossimo, ma chi è stato il prossimo dell’uomo aggredito. Il centro è posto non su di me che mi guardo intorno ma fuori di me dove ci sono gli uomini ai quali avvicinarmi. Il cristiano vive il proprio decentramento e ha gli occhi aperti sul mondo.
Amare è accorgersi dei bisogni degli altri, non passare oltre, prendersi cura e assumersi delle responsabilità. Non essere indifferenti e dedicarsi a fasciare le ferite degli altri ha la sua radice nella scoperta che il Padre per primo si prende cura con amore di noi.
Il dibattito su chi è il prossimo: prossimo, in greco plesion, in ebraico rea che significa “amico”, “compagno”, “prossimo”. Il precetto dell’amore al prossimo di Lv 19,18 era già sentito come fondamentale al tempo di Gesù ma era vivo il dibattito su chi considerare prossimo. Già nell’Antico Testamento oltre ai membri del proprio clan e di Israele era stato compreso nel comandamento il forestiero abitante in Palestina (Dt 10,19 e Lv 19,33s), ma erano esclusi gli stranieri e i samaritani. Presso la comunità religiosa di Qumran vigeva la regola di «amare tutti i figli della luce (cioè i membri della comunità), odiare tutti i figli delle tenebre » (1 QS 1,9-10). Per Gesù il prossimo è ogni uomo, compreso lo straniero e il nemico.