Io, Falcone e Borsellino
Giuseppe Ayala sarà a Carpi sabato 22 ottobre alle ore 18 al Museo Diocesano per presentare il suo ultimo libro.
di Pierluigi Senatore
Dopo la pausa estiva torna la rassegna “Ne vale la pena” che dedicherà gli ultimi giorni di ottobre per ricordare, con tre appuntamenti specifici, i 30 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. A distanza di tre decenni dall’attentato in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, le mafie si sono insinuate in tutti gli interstizi tra lecito e illecito, colmando le aree grigie che si sono formate nel sistema politico, economico e sociale.
Nell’atteso incontro di sabato 22 ottobre alle 18 presso il Museo Diocesano- chiesa di Sant’Ignazio in Corso Fanti, 44 a Carpi, Giuseppe Ayala racconterà la sua verità, non solo su Falcone e Borsellino, che ci vengono restituiti alla loro appassionata e ironica umanità, ma anche su quegli anni, sulle vittorie e i fallimenti della lotta alla mafia, sui ritardi e le complicità dello Stato, sulle colpe e i silenzi di una Sicilia e di un Paese che, forse, non è molto cambiato da allora.
La memoria non si cancella. E la memoria siamo noi: le vite che viviamo, gli incontri, le parole dette, lette e ascoltate. La memoria è un diritto e un dovere che siamo chiamati a esercitare, soprattutto quando parliamo di mafia. Fare memoria è fare cultura e inoltre per troppo tempo ci siamo voltati dall’altra parte mentre la criminalità organizzata si radica nel nostro territorio diventando una vera e propria metastasi.
Il 10 febbraio di 36 anni fa in una gigantesca aula bunker costruita apposta a tempo di record nel carcere dell’Ucciardone a Palermo, davanti a circa 300 imputati (sui 475 totali, 200 avvocati e 600 giornalisti) cominciava il “Maxiprocesso” alla mafia. Per la prima volta, grazie al Pool antimafia creato da Rocco Chinnici (e dopo il suo assassinio guidato da Antonino Caponnetto) con i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe di Lello, lo Stato portava in tribunale per la prima volta l’associazione responsabile degli omicidi di decine di membri delle istituzioni, oltre che di centinaia di uccisioni nella guerra tra Corleonesi e le famiglie palermitane di Cosa Nostra.
Nel 1987 il verdetto finale: 346 condanne tra cui 9 ergastoli. La definita condanna in Cassazione avvenne il 30 gennaio del 1992. Ed ecco perché la mafia siciliana trasformerà quel 1992 e poi anche l’anno successivo in anni di sangue, di attacco al cuore dello Stato che aveva osato processare e condannare il Gotha di Cosa Nostra. Nel maxiprocesso palermitano a sostenere l’accusa fu il Pm Giuseppe Ayala, grande amico e collaboratore di Giovanni Falcone. Ma Ayala che fu lui stesso protagonista di importanti operazioni antimafia, è stato successivamente deputato e senatore per quattro legislature e sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2000.