Pazza d’amore
60 anni fa l’apertura del Concilio Vaticano II: l’omelia del Papa nella messa celebrata in Vaticano.
Foto: Siciliani Gennari-SIR
di M. Michela Nicolais
“Sempre c’è la tentazione di partire dall’io piuttosto che da Dio, di mettere le nostre agende prima del Vangelo, di lasciarci trasportare dal vento della mondanità per inseguire le mode del tempo o di rigettare il tempo che la Provvidenza ci dona per volgerci indietro”. È il monito del Papa, che nell’omelia della Messa per il 60° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II lo scorso 11 ottobre, ha spiegato: “Sia il progressismo che si accoda al mondo, sia il tradizionalismo – quell’indietrismo – che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà. Sono egoismi pelagiani, che antepongono i propri gusti e i propri piani all’amore che piace a Dio, quello semplice, umile e fedele che Gesù ha domandato a Pietro”.
“Riscopriamo il Concilio per ridare il primato a Dio, all’essenziale”, l’invito di Francesco: “a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da lui amati; a una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi; a una Chiesa che sia libera e liberante”. “Mi ami?” e “Pasci le mie pecore”: questa domanda e questo imperativo di Gesù hanno fatto da filo conduttore, iniziale e finale, all’omelia di Francesco. Per il Papa, “il Concilio Vaticano II è stato una grande risposta a questa domanda: è per ravvivare il suo amore che la Chiesa, per la prima volta nella storia, ha dedicato un Concilio a interrogarsi su sé stessa, a riflettere sulla propria natura e sulla propria missione. E si è riscoperta mistero di grazia generato dall’amore: si è riscoperta Popolo di Dio, Corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito Santo! Questo è il primo sguardo da avere sulla Chiesa, lo sguardo dall’alto. Sì, la Chiesa va guardata prima di tutto dall’alto, con gli occhi innamorati di Dio. Chiediamoci se nella Chiesa partiamo da Dio, dal suo sguardo innamorato su di noi”.
“Il Concilio – ha proseguito Francesco citando la Lumen Gentium – indica alla Chiesa questa rotta: la fa tornare, come Pietro nel Vangelo, in Galilea, alle sorgenti del primo amore, per riscoprire nelle sue povertà la santità di Dio”. “Anche noi, ognuno di noi ha la propria Galilea, e ognuno di noi è simbolicamente invitato oggi a tornare alla propria Galilea per sentire la voce del Signore: Seguimi! per ritrovare nello sguardo del Signore crocifisso e risorto la gioia smarrita”. “Una Chiesa che ha perso la gioia ha perso l’amore”, ha detto ancora a braccio.
Poi la citazione del Giornale dell’anima, in cui Papa Giovanni scriveva verso la fine dei suoi giorni: “Questa mia vita che volge al tramonto meglio non potrebbe essere risolta che nel concentrarmi tutto in Gesù, figlio di Maria… grande e continuata intimità con Gesù, contemplato in immagine: bambino, crocifisso, adorato nel Sacramento”. “Ecco il nostro sguardo alto, la nostra sorgente sempre viva!”, il commento di Francesco: “Ritorniamo alle pure sorgenti d’amore del Concilio. Ritroviamo la passione del Concilio e rinnoviamo la passione per il Concilio!”.
Non c’è tempo per scontri e polemiche
“Una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, veleni e polemiche”. Ne è convinto il Papa, che ha esclamato: “Dio ci liberi dall’essere critici e insoff erenti, aspri e arrabbiati”. “Non è solo questione di stile, ma di amore, perché chi ama, come insegna l’Apostolo Paolo, fa tutto senza mormorare”, ha puntualizzato il Papa: “Signore, insegnaci il tuo sguardo alto, a guardare la Chiesa come la vedi Tu. E quando siamo critici e scontenti, ricordaci che essere Chiesa è testimoniare la bellezza del tuo amore, è vivere in risposta alla tua domanda: mi ami?”. “Immersi nel mistero della Chiesa madre e sposa, diciamo anche noi, con San Giovanni XXIII: Gaudet Mater Ecclesia!”,
l’invito sulla scorta del discorso pronunciato da Giovanni XXIII all’apertura del Concilio: “La Chiesa sia abitata dalla gioia. Se non gioisce smentisce sé stessa, perché dimentica l’amore che l’ha creata. Eppure, quanti tra noi non riescono a vivere la fede con gioia, senza mormorare e senza criticare?”.