Il paese reale attende risposte
Su cittadinanza, accoglienza e lavoro.
di Edoardo Patriarca
Si è appena conclusa la settima edizione del Festival della migrazione che ha affrontato il tema: “Accoglienza, cittadinanza, nuove opportunità: come fratelli”. Sono state le parole chiave che hanno tracciato la linea ai vari appuntamenti che si sono succeduti nella settimana, fino a sabato 26 novembre e che proseguiranno con altri momenti nei prossimi mesi.
Cittadinanza. Sono anni che il Festival propone – devo dire invano – una riflessione approfondita sul tema, e sono anni che attendiamo una nuova legge sulla cittadinanza adeguata alla realtà attuale, rispetto alla legge in vigore che propone una fotografia del Paese oramai sfocata, scattata nel lontano 1992. Il tema cittadinanza ci è molto caro: non è una concessione ma il riconoscimento di un diritto/dovere attraverso il quale il più ampio numero di cittadini e cittadine residenti nei nostri territori partecipano alla vita democratica, con il proprio lavoro e con l’impegno di cittadinanza attiva e solidale. È una questione che fino ad oggi non ha trovato spazio nell’agenda parlamentare, spesso motivo di inutili polemiche, di un confronto male informato, confuso e ideologico.
E siamo ancora qui a chiedere al Parlamento appena insediato, una legge che riconosca finalmente i diritti/ doveri di cittadinanza alle persone nate in Italia o che comunque la abitano da tempo pur provenendo da famiglie di origine straniera. Parliamo di più di un milione di ragazzi e ragazze, italiani a tutto tondo, “italiani senza passaporto” che devono attendere la maggiore età e poi altri anni per vedersela riconosciuta, con procedure amministrative complicate e tortuose. Ci diciamo spesso che la nostra democrazia appare stanca, che abbiamo bisogno di rigenerarla con la partecipazione e l’impegno di tutti. Ci siamo domandati che senso abbia rinunciare al contributo di un’intera generazione di ragazzi e ragazze? Ascoltarli numerosi nelle sessioni e negli incontri del Festival ci ha riempito il cuore di speranza, un’Italia diversa – quella vera – da quella che viene raccontata spesso dalla cronaca quotidiana.
Nuove opportunità, lavoro per tutti. Questo è stato il secondo focus sviluppato, uno snodo cruciale per giovani e donne in particolare, e per le persone straniere che giungono in Italia per lavorare. L’attuale legge, per la sua farraginosità, non permette l’ingresso legale per motivi di lavoro, impedisce l’incontro tra domanda e offerta nonostante le ripetute richieste di lavoratori che provengono da molti settori produttivi. È necessaria una nuova legge, lo abbiamo ribadito, e regole più stringenti che contrastino il lavoro sommerso e irregolare, lo sfruttamento anche schiavistico, i caporalati e paghe miserabili. Perché il “lavoro straniero” è una grande opportunità per il paese, non solo da un punto di vista demografico ma anche da quello economico: secondo l’ultimo rapporto della fondazione Moressa, lo scorso anno il contributo dei lavoratori stranieri ha permesso un saldo attivo di 1,4 miliardi di euro calcolando la differenza tra uscite (sanità, scuola, servizi sociali) e entrate (irpef, iva, consumi, tasse). Allora riproponiamo la domanda: come si può dare una democrazia matura che accetta la presenza di migliaia di lavoratori irregolari, nonostante il primo articolo della Costituzione che rammenta che il lavoro è la persona, la sua realizzazione e lo strumento attraverso il quale essa partecipa al bene comune?
Accoglienza. La terribile guerra scatenata dalla Russia contro il popolo ucraino ci ha fatto riscoprire un’Europa e una comunità nazionale pronte mobilitarsi: sono state attivate celermente procedure già previste dal nostro ordinamento e mai applicate, come il permesso di protezione temporanea; abbiamo accolto nelle comunità locali 170 mila rifugiati in tempi assai brevi, a conferma che un’accoglienza diffusa gestita dai Comuni e dal terzo settore, da Enti e parrocchie, è possibile. Non tutto ha funzionato per il meglio, lo hanno ricordato le Migrantes diocesane, ma questa emergenza – questa sì un’emergenza – ci ha confermato l’urgenza di approntare un percorso di accoglienza e di integrazione finalmente strutturato per le persone in cerca di protezione internazionale. Anche qui chiediamo un cambiamento di prospettiva, perché le migrazioni sono parte dell’esperienza umana. Da sempre i popoli e le civiltà si sono sviluppate attraverso contaminazioni e processi culturali di condivisione, si può dire che l’umanità si è arricchita camminando. È un fenomeno strutturale, ribadiamo, e come tale va trattato e gestito, con maturità e lungimiranza, un bene e un’opportunità per il nostro paese e per l’Europa dalla quale ci attendiamo di più. Al contrario, le politiche fondate sull’emergenza impediscono la programmazione di medio e lungo termine.
Come fratelli. Se libertà e uguaglianza hanno trovato una istituzionalizzazione nelle Costituzioni e negli Ordinamenti, il principio di fraternità non lo è ancora pienamente. È una prospettiva politica su cui lavorare insieme, ce lo hanno ricordato il nostro Vescovo don Erio e Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, uno dei pochi quotidiani italiani che offre una riflessione seria, documentata e non urlata su questi temi troppo spesso evocati per dividere. Un ultimo pensiero riguarda la sicurezza. Non chiamateci buonisti, non lo siamo: pratichiamo con rigore il principio di realtà, siamo animati dai valori di solidarietà e fraternità, e crediamo che la sicurezza e il benessere delle comunità vadano difese e tutelate. Siamo grati dell’operato quotidiano delle forze di polizia, ma non basta: la sicurezza si garantisce soprattutto con più democrazia, più inclusione, più giustizia, con politiche sociali ed economiche attente al bene di tutti, dei più vulnerabili soprattutto.