Giuseppe della casa di Davide
Casa: è il terzo cantiere di Betania su cui le comunità cristiane sono chiamate a riflettere in questo secondo anno del sinodo. E alla casa è riconducibile la Parola di Dio di questa IV domenica di Avvento. Di quella casa di Davide, intesa come sua discendenza, che ha già stancato gli abitanti di Gerusalemme, lungamente assediati da popoli stranieri, e ora pronta a stancare anche Dio nel non voler confidare nella sua protezione, come ci riporta il profeta Isaia nella prima lettura.
Di quella casa domestica dentro la quale si consuma il dramma di Giuseppe, uomo giusto, pronto a non voler esporre Maria ad un pubblico ludibrio con l’accusa di adulterio, e dunque intenzionato a licenziarla in segreto, come ci riporta il Vangelo di questa domenica. In quella casa, Giuseppe deve superare la prova; la supera perché è umile, perché crede e obbedisce. Papa Francesco così lo descrive nella lettera apostolica “Patris corde” del 2020: “Giuseppe non esitò ad obbedire, senza farsi domande sulle difficoltà cui sarebbe andato incontro (…) In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo ‘fiat’ come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani. (…) Tante volte, nella nostra vita, ac-cadono avvenimenti di cui non comprendiamo il signifi cato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia”.
Dio, come sempre, fa grandi cose con i piccoli, con gli umili di cuore, con coloro che non si lasciano guidare dall’orgoglio come il re Acaz nella prima lettura. Ma Giuseppe, dentro le mura della sua casa, non ci parla solo di una storia di obbedienza; ci ricorda anche la necessità di un amore vero per coloro che ci vivono accanto, un amore fatto di tenerezza, la tenerezza che Maria e Gesù hanno sperimentato in Giuseppe. Un amore che non vuole possedere, non imprigiona la creatura amata, ma la rende capace di scelte di libertà, di partenze. “Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di ‘castissimo’. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso.
La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù” (dalla Lettera Apostolica “Patris corde” di papa Francesco – 2020).
Il Natale ci ripropone le scelte di Dio, il suo stile, le sue strade, il suo amore casto. Riconosciamoci umilmente fuori del Natale, cioè fuori della casa abitata da Dio: perché è la verità, è la verità del nostro peccato. Convertiamoci e la nostra vita sarà illuminata dal divino Bambino, sarà capace di amore vero, casto e diventerà una nuova Betlemme. E sentiremo nel cuore una gioia immensa, che è la prova sicura della presenza di Dio in noi e di noi in Dio. “O Dio Padre nostro, fa che per amore del tuo Figlio, che povero alla sua nascita fu posto in una greppia, povero visse sulla terra e nudo rimase sulla croce, sempre osserviamo noi, suo piccolo gregge, la santa povertà e l’umiltà del tuo diletto Figlio e della sua gloriosa Madre Vergine” (Santa Chiara d’Assisi, Testamento).
Frati Minori del Vangelo – Migliarina
Condividi sui Social