Il giusto risplende come luce

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Commento
Il vangelo di questa domenica è costituito dai versetti immediatamente seguenti le beatitudini. L’ultima beatitudine era alla seconda persona plurale (beati voi …) e il testo di oggi ancora si rivolge a un “voi”, riferito ai discepoli, che nella scena del Discorso della Montagna sono più vicini a Gesù. Questo brano è originale di Matteo, che usa l’immagine del sale e della luce per costruire un testo unico nel suo genere. I detti sul sale e sulla lucerna si trovano anche in Marco e Luca (Mc 4,21 e 9,50; Lc 8,16; 11,33 e 14,34-35) ma in contesti completamente diversi. Matteo aggiunge «voi siete il sale della terra» e «voi siete la luce del mondo» e usa queste immagini per illustrare cosa vuol dire essere discepoli. Gesù afferma che i discepoli sono il sale della terra.
Il sale era usato nell’antichità per dare gusto agli alimenti ma anche per conservarli, facilitare la combustione ed entrava talvolta nei rituali dei sacrifici. Nel nostro testo il significato è sicuramente quello di sapore dato agli alimenti e dunque i discepoli, cioè i credenti, sono ciò che da significato alle cose del mondo. Per apprezzare la novità di questo insegnamento si deve tenere presente che mai nella bibbia l’immagine del sale è stata applicata al popolo di Israele. È davvero molto bello e impegnativo pensare che i cristiani diano sapore al mondo; in questa immagine c’è forse anche l’idea, espressa altrove con l’immagine del lievito, che basta poco sale per dare sapore al cibo e dunque bastano pochi cristiani veri, che vivano le beatitudini, per dare valore al mondo. La realtà che l’uomo si trova davanti, lasciata a se stessa, è insipida ma ospita anche un desiderio che attende una risposta.
Dunque si è cristiani non solo per se stessi ma per tutto il mondo; Gesù ci invita a sentirci parte del mondo in un abbraccio portatore di vita. Poiché la responsabilità dei discepoli è così grande, diventa drammatica l’ipotesi che il sale perda il sapore, un’ipotesi chimicamente impossibile ma che fuor di metafora è una reale possibilità per i credenti. Un uomo di fede che perde la sua ispirazione non serve a niente, è solo tradizione e formalismo. Sentiamo qui risuonare tutti i richiami di Gesù all’autenticità del sentimento religioso. Sentiamo il dramma della pochezza della testimonianza cristiana: dal punto di vista di Gesù se il mondo va male, se perde il suo senso, può dipendere dal fatto che i cristiani non fanno la loro parte.
La seconda immagine è quella della luce. Nella Bibbia c’è spesso l’immagine della luce, applicata a Dio, a Israele, alla Torah, a Gerusalemme. In un testo rabbinico leggiamo: «come l’olio dona la luce al mondo, così Israele è la luce del mondo» (Midrash del Cantico dei Cantici 1,3). Il senso dell’immagine della luce è dunque simile a quello del sale. La comunità dei cristiani è il faro che fa luce a tutta l’umanità. Lo specifico di questa immagine è dato da quello che viene dopo. La lucerna non può essere nascosta ma deve essere posta ben in vista. La lucerna sotto il moggio si spegne per mancanza di aria, quasi a dire che per i cristiani c’è un tipo di visibilità che è vitale; un cristianesimo privato, che non vuole fare luce è destinato a spegnersi. Questa idea di visibilità è ribadita dalla bella immagine della città sul monte, che può essere vista da lontano, come tante ce ne sono sulle basse colline della Palestina. Certo c’è una differenza tra essere luce e sentirsi, per questa luce, in diritto di svilire chi è diverso da noi. La luce del vangelo non può servire a svergognare l’altro.
Infine, nell’ultimo versetto si tirano le conclusioni. Come il sale deve dare sapore, la luce illuminare e una città su un monte essere visibile, così il discepolo deve splendere per le sue buone opere. Le buone opere sono non tanto i comportamenti ma la forma umana e il cuore anticipato nelle beatitudini e ampiamente descritto in tutto il discorso della montagna; ciò che Matteo ama definire una «giustizia più grande». Il senso per il mondo non è scritto nei libri ma nella carne di coloro che, rischiando tutto per seguire Gesù, indicano la via verso la fonte della luce che è il Padre.
L’opera d’arte
Maestro di Alkmaar, Le opere di misericordia (1504), Amsterdam, Rijksmuseum. Dice Gesù nel Vangelo: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. E nella prima lettura, dal libro del profeta Isaia, si legge: “Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?” (Is 58,7).
Brani che suggeriscono un accostamento alle opere di misericordia corporale, qui raffigurate efficacemente dall’anonimo artista che prende il nome dalla città di Alkmaar in Olanda, dove, per la chiesa di San Lorenzo, dipinse sette tavole sul tema. Questi sono i pannelli che rappresentano “dare da mangiare gli affamati” e “vestire gli ignudi”, opere ambientate in una cittadina contemporanea al pittore, descritta con la cura dei dettagli tipicamente fiamminga. Da notare un particolare: in tutte le scene, fra i bisognosi, compare Gesù – senza aureola e con lo sguardo spesso rivolto all’osservatore del quadro – ad indicare la sua identificazione con quanti sono nella sofferenza.
V.P.
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