Dove sentirsi accolti e al sicuro
Rubrica a cura dei Frati di San Martino Secchia: il cantiere sinodale dell’ospitalità e della casa /2.
Dopo una lunga, e spesso pesante, giornata di lavoro tutti desideriamo tornare “a casa”, là dove siamo certi di trovare quel calore familiare che ci accoglie e che permette di esprimerci in piena libertà, senza maschere o condizionamenti di sorta. La casa è il luogo della famiglia, delle relazioni più intime e schiette, dove possiamo esprimere il bene che ci vogliamo, ma anche dove non mancano tensioni e, ahimè, anche litigi e discordie. Qui ciascun familiare in primis dovrebbe sperimentare l’accoglienza e sentirsi realmente “a casa sua”, in quell’ambiente vitale dove ciascuno dona qualcosa di sé, e tutti insieme si vive gli uni per gli altri, con tutte le fatiche che questo comporta, ma anche con le gioie dello stare insieme nel nome del Signore, certi della sua presenza benedicente e della sua protezione. Ricordo di una piccola tavoletta di legno vicino a una porta di ingresso, con una scritta che faceva più o meno così: “la protezione di Dio è migliore di tutte le serrature”. Così la famiglia è solida e forte, non tanto per chiudersi, come una fortezza impenetrabile dove non c’è posto per nessun altro, ma al contrario per avere le fondamenta solide e la struttura stabile nella quale chi entra può sentirsi al sicuro.
Penso che l’accoglienza debba essere così, non semplicemente un gesto di cortesia o un atto di gentilezza verso l’altro, ma un cuore aperto di chi è esperto di fraternità e sa trasmettere quel calore di cui ogni uomo e donna sentono il profondo desiderio. Chi bussa alla porta delle nostre famiglie, delle nostre comunità cristiane, dei nostri conventi, chiede questo prima di tutto, anche solo un sorriso e una mano che si apre e si tende. Potremmo domandarci se chi entra nelle nostre case e nelle nostre comunità può veramente fare esperienza di ciò, oppure vede altro? Cosa siamo in grado di trasmettere a chi chiede ospitalità, a chi è lontano ed esige magari da noi cristiani un atteggiamento diverso? La vera accoglienza si radica in questa dimensione familiare e fraterna solida e robusta, dalle salde fondamenta, capace di resistere alle bufere e alle condizioni più avverse.
San Francesco, all’inizio della sua conversione, riceve un dono che è allo stesso tempo una rivelazione: “il Signore mi donò dei frati”, la vita fraterna diventa la modalità concreta per fare esperienza di condivisione e accoglienza reciproca. Diceva: “ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente” e “chiunque verrà da essi, amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà”. Il convento è il luogo dove i frati vivono fraternamente come in una famiglia, e dove chiunque bussa, vicino o lontano, riceve accoglienza, in modo da potersi sentire realmente “a casa”.
Mi viene alla mente la figura di San Corrado da Parzham, frate cappuccino vissuto nel XIX secolo, che per più di quarant’anni si è messo a servizio con l’incarico di portinaio nel convento di Altoetting, sede di un rinomato santuario mariano in Baviera. Alla porta del convento arrivavano continuamente numerosi pellegrini, per chiedere una benedizione, una parola di conforto, o anche soltanto una informazione, non mancava neppure chi era indisponente e fastidioso; fra Corrado accoglieva tutti con il sorriso sulle labbra e con una pazienza eroica. Ma erano soprattutto i poveri che accorrevano numerosi al convento, e nei loro confronti fra Corrado aveva una predilezione speciale, li serviva con grande carità e nessuno se ne andava mai a mani vuote. Il cammino sinodale ci aiuti a camminare insieme, accogliendoci gli uni gli altri con affetto fraterno!
Pace e bene Fra Marcello Fratelli di San Francesco