Intervista a Gianpiero Kesten
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale.
Gianpiero Kesten è un abile comunicatore. A dimostrazione di ciò potremmo prendere il fatto che dal 2005 è in onda su Radio Popolare con “Di tutto un Boh”, così come potremmo citare il suo seguitissimo podcast “Cose molto umane”. In questo spazio di CulturalMente, però, chiacchieriamo con lui in quanto autore del libro “L’arte di cavarsela” (Fabbri Editori, 2023). Un libro, come si legge dalla copertina, per “studenti svogliati e adulti smemorati”.
Perché il titolo “L’arte di cavarsela”?
Questa è un’ottima domanda che ha una risposta bizzarra. Inizialmente non sapevamo come definire il libro, nel senso che è una sorta di “bigino”, come si dice a Milano, cioè una sorta di compendio rapido per ripassare le materie scolastiche. Però allo stesso tempo non è solamente questo in quanto da un lato non è completo perché altrimenti ci sarebbero migliaia di pagine, ma, oltretutto, nelle intenzioni è uno strumento per incuriosirsi su determinati argomenti. Un po’ come un effetto “palla di neve” si inizia a imparare un pezzettino per poi studiarne anche il resto. “L’arte di cavarsela” è un qualcosa per avere dei punti fissi per avere un’idea più chiara del programma scolastico di quasi tutte le materie e per avere anche un metodo per andare avanti da soli. Questo libro, in effetti, sembra un po’ un manuale, ma lei lo definisce, proprio all’interno del volume, un “trailer” atto a incuriosire.
Quanto conta la curiosità nell’apprendimento?
Secondo me tantissimo. È tutto lì. Quando ero studente ho un po’ patito il fatto che la curiosità non venisse stimolata. Siamo abituati, a scuola, ad avere degli argomenti da sapere, ma quasi mai viene spiegato bene il “come mai” è importante sapere quelle cose. Non deve essere solo un dovere, c’è anche un senso, un bel senso, perché sono cose belle. Se la curiosità è stimolata automaticamente è tutto più facile perché si diventa voraci di imparare. Di solito ci si scontra con la noia, il tedio e la poca voglia di affrontare determinate cose.
La curiosità nasce, in molti casi, da un buon insegnante. Lei nel libro spiega come essere un intrattenitore professionista l’abbia aiutata a incuriosire gli studenti. Secondo lei gli insegnanti dovrebbero frequentare dei corsi di comunicazione?
Ci sono degli insegnanti che sono davvero molto molto bravi e che hanno quella capacità di comunicare. Altri, invece, hanno un po’ perso la voglia. Sanno essere molto bravi e molto dotti in un argomento, ma questo non automaticamente non vuol dire saperlo comunicare o comunque saperlo comunicare a tutti. È ovvio che se hai una classe universitaria di adulti che sono lì per imparare quella determinata cosa o un liceo classico dove gli studenti in qualche modo si sono posti il problema di affrontare argomenti e materie difficili è una cosa, ma se hai davanti un pubblico di studenti non particolarmente invogliati a studiare bisogna fare uno sforzo in più e non tutti gli insegnanti lo fanno, questo è vero. Secondo me, in generale, un corso di comunicazione servirebbe a tutti. La trasmissione di quello che sappiamo non è automatica e non è per tutti facile.
Lei nell’ultimo capitolo parla dell’importanza dei generi letterari. A quale genere letterario appartiene “L’arte di cavarsela”? È un saggio?
[Ride, n.d.r.]. Sì, tecnicamente è un saggio. Ovviamente molto sui generis. È un saggio molto “chiacchierato”, c’è molto della trasmissione orale in questo libro, anche se… è un libro, quindi è stato “tradotto” da quello che è il mio canale preferito che è quello della parola parlata.
Cosa vorrebbe dire ai ragazzi che a scuola di annoiano?
Cercherei di spiegare loro quello che dicevo prima, cioè il perché debbono “subire” quello che stanno subendo. Una volta spiegate bene le ragioni non diventa più un supplizio, ma imparare cose diventa divertente, anche se alcune cose non incontrano da subito il proprio interesse.