Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 30 aprile 2023.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Commento
Il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni presenta una serie di riflessioni sul tema del pastore e del gregge; questa domenica leggeremo i primi dieci versetti. Gesù inizia il suo discorso molto solennemente e racconta una specie di parabola sull’ambiente pastorale, dove si parla del recinto delle pecore e del pastore autentico che entra dalla porta del recinto. Al versetto 6 si dice che essi non capirono, riferendosi ai farisei che in quel momento erano gli interlocutori di Gesù. Nei versetti che seguono Gesù spiega la parabola prima in riferimento alla porta del recinto, dicendo “io sono la porta”, poi in riferimento al buon pastore, dicendo “io sono il buon pastore”.
Cerchiamo di entrare ora nella simbologia del pastore e delle pecore. Le pecore erano riunite per la notte in recinti realizzati con muretti di pietra che naturalmente avevano un’apertura per entrare. Il gregge nella tradizione profetica è spesso simbolo di Israele (vedi ad esempio Ezechiele 34 e Zaccaria 10-11) e la parola greca (aulê) tradotta con “recinto delle pecore”, indica anche il cortile del tempio dove si riuniva il popolo. Il primo riferimento di Gesù è alla porta del recinto e al fatto che solo il pastore entra legittimamente dalla porta. Gesù è stato mandato dal Padre e ha il sostegno del suo Spirito per guidare il popolo verso la salvezza, nessuno può improvvisarsi salvatore per sua iniziativa o secondo idee personali.
A seguire, Gesù afferma che le pecore ascoltano la voce del pastore che le conosce e le chiama per nome. Non dobbiamo sottovalutare la descrizione di tale rapporto di vicinanza. Insistere sulla conoscenza, nello stile della bibbia, vuol dire sottolineare l’amore e un senso di grande affetto che va anche oltre ciò che sarebbe proprio dell’immagine del gregge. In fondo ritroviamo qui la passione per la vita degli uomini, la cura per l’originalità di ciascuno che tanto spesso Gesù mostra nei racconti dei vangeli. Poi il pastore porta fuori le pecore verso un buon pascolo, non le tiene rinchiuse nel recinto, ed esse si fidano del cammino che fa loro compiere. Il Signore ci chiama per tenerci in movimento, per fare della nostra vita una strada e non per chiuderci nella fissità fosse anche di un luogo sicuro. La nostra vita con Gesù è movimento e dinamicità. La fiducia e la confidenza nel pastore sono proprio ciò di cui abbiamo bisogno per poterci muovere nei percorsi spesso tortuosi della vita.
Nella seconda parte del brano, poiché i farisei non capiscono, Gesù spiega i termini della parabola. Inizia con uno strano paragone dicendo “io sono la porta delle pecore”. Gesù è la porta attraverso la quale passare per ottenere la salvezza. Non ci sono altre possibilità di salvezza. I ladri e i briganti di cui egli parla sono probabilmente i falsi profeti e autoproclamati messia che si sono succeduti nella storia di Israele. Non si può escludere in particolare un riferimento coevo agli zeloti, che auspicavano la venuta di un messia politico che liberasse dal dominio dei romani. Dunque, ladri e briganti sono tutti coloro che propagandano salvezze finte, parziali o sbagliate. Noi stessi possiamo a volte cercare una salvezza su misura e andare in cerca di salvatori nei posti più impensati. Uno dei compiti più importanti del cristiano è la custodia del vero volto di Cristo, cioè cercare di conoscere davvero chi è Gesù e in cosa consiste la sua salvezza, superando la naturale personalizzazione che tutti un po’ facciamo. Che in Gesù ci sia salvezza è ciò che sempre siamo chiamati a sperimentare e a verificare con la nostra vita.
L’opera d’arte
Il Buon Pastore (V secolo), Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia. Dai primi secoli del cristianesimo, il brano del Vangelo di questa domenica, detta “del Buon Pastore”, è stato rappresentato innumerevoli volte nella storia dell’arte. Celeberrima è la raffigurazione all’interno del cosiddetto Mausoleo dell’imperatrice Galla Placidia a Ravenna, piccolo edificio dallo straordinario ciclo di mosaici. La scena presenta una composizione simmetrica, in un contesto immerso nella natura: le colline, le piante, i fiori, i colori, luminosi come in una giornata primaverile, contribuiscono a creare un’ambientazione che rinvia al Paradiso, ai “pascoli eterni”.
Il pastore, un giovane senza la barba, è vestito di una tunica d’oro e di un mantello di porpora, ovvero con gli abiti imperiali, ad indicare un’assimilazione delle caratteristiche iconografiche dell’imperatore a quelle di Cristo. La nobile figura regge con la sinistra un bastone a forma di croce – simbolo della gloria del Risorto -, mentre con la destra accarezza una pecora. Gli animali sono raffigurati in diverse posizioni, ma con lo sguardo rivolto al pastore che seguono, come leggiamo nel Vangelo, “perché conoscono la sua voce”.
V.P.