Editoriale - Linguaggi e comunicazione c’è tanto da cambiare
di Mons. Gildo Manicardi, Vicario Generale
Tra le tante iniziative che la festa del patrono San Bernardino da Siena, vissuta insieme nonostante la drammatica alluvione – che qualcuno ha chiamato un secondo terremoto per l’Emilia-Romagna – e i tanti “traslochi” delle stesse iniziative per l’allerta della pioggia, c’è stata una nicchia preziosa che merita attenzione. Sabato mattina, nella Chiesa-Museo di Sant’Ignazio, ha preso avvio il quarto cantiere sinodale sul “linguaggio della Chiesa”, scelto in spontanea sintonia dalle diocesi di Carpi e di Modena-Nonantola e che si prevede possa continuare anche nel prossimo anno dedicato a livello generale al “discernimento sapienziale”.
Alcuni insegnanti di religione hanno dato avvio a una ricerca per capire come i ragazzi e i giovani valutano il linguaggio che la Chiesa mette tuttora in campo. Nella relazione sintetica di Simone Ghelfi – che ha raccolto circa 400 questionari nelle terze medie di Carpi e nelle Superiori, soprattutto a Mirandola – non sono mancate le sorprese. Parola e scrittura sono ritenute dai ragazzi e dai giovani di primaria importanza per comunicare qualsiasi contenuto, sia emozioni, sia esperienze e sia idee e ideali. Per quanto riguarda il linguaggio della chiesa esce unanimemente che il linguaggio della carità e del servizio è quello più utilizzato ed efficace, che dovrebbe – a parere dei giovani – essere utilizzato ancora di più. Con sorpresa si è notato che i social non hanno affatto il livello che gli adulti si aspettavano; i giovani, probabilmente, hanno capito bene che i social sono soltanto i mezzi e che l’oggetto della comunicazione sono la parola, la scrittura, cui aggiungiamo l’immagine. Il primato dato alla parola dice chiaramente che i ragazzi e giovani non desiderano soltanto “comunicare” ma trasmetterci le loro parole, con cui ci affidano il loro mistero personale, e accogliere le nostre che sono il solo possibile “contenitore” della nostra identità e dei segreti della nostra vita. Essi danno il primato al linguaggio della parola perché sanno di avere bisogno di essere ascoltati seriamente e di ascoltare.
Seppur differenziate per le diverse fasce di età hanno un ruolo importante anche la musica e le immagini. Alcuni segnalano però che la musica e le immagini usati nella Chiesa non sono per davvero comunicativi. Molti auspicherebbero altri canti e altri quadri. Risulta perciò che alcuni immaginati “ringiovanimenti” ecclesiastici e celebrativi non stanno cogliendo nel segno. Un dato, in realtà molto diffuso è che l’esperienza descritta come meno significativa e poco comprensibile sono… le liturgie. Non sono emerse critiche specifiche all’omelia, ma è tutto l’impianto liturgico che appare obsoleto e in fondo, dal punto di vista dei giovani, appare come clericale, parrocchiale e autoreferenziale. Il genere critica all’omelia, anche se è uno sport piuttosto diffuso, sembra appannaggio piuttosto dei non giovani, giocato soprattutto dalle signore. Del catechismo alcuni, non tanti, dicono essere stata una bella esperienza, anche se la maggioranza non ne parla o la giudica severamente. Per alcuni è anche uno sbaglio puntare sull’Insegnamento della religione cattolica a scuola.
La maggior parte dei giovani propone di utilizzare linguaggi (e gesti) meno difficili, più chiari, più comprensibili e diretti. In particolare alcuni fanno riferimento alle lezioni di catechismo, alle letture della Bibbia, alla liturgia ma (!) nella speranza che diventino più comunicative e performanti. Troppi elementi catechetici, liturgici sono non chiari, lontani, difficili, inutili e, in qualche caso, proprio non comprensibili. Le due domande finali hanno ricevuto risposte molto nette. Si chiedeva: qual è secondo te il messaggio più giusto che oggi la Chiesa comunica e quale il più sbagliato? Tra le cose giuste che la Chiesa riesce a comunicare spiccano soprattutto l’aiuto ai poveri, la solidarietà, la pace e la fratellanza. Tra le più sbagliate, invece, sono indicate: le posizioni sull’omosessualità, la poca accoglienza delle diversità e la permanente discriminazione tra uomo e donna. In risposta alla domanda « Qual è secondo te la cosa più giusta che la Chiesa fa? », vengono indicati l’aiuto ai poveri, agli emarginati e al prossimo. Tra quelle sbagliate: escludere varie persone, non permettere a tutti il matrimonio (i ragazzi elencano senza mezzi termini: i preti, le suore e gli omosessuali). Seguono poi le incoerenze e le ipocrisie (soldi, violenze private, tensioni tra la ideologia professate e le prassi concrete).
Alcune risposte spiazzanti meritano attenzione. Qualcuno ha sostenuto che tra i messaggi più pericolosi c’è l’amore ai nemici, la richiesta di bloccare l’ira senza sfogarla, il far sentire sbagliati i non allineati. Una risposta ha giudicato un non senso l’annuncio della risurrezione. Osservo che l’intervistato ha capito bene la centralità della risurrezione nella fede cristiana (cfr. «se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede», 1Cor 15,17), ma si muove una visione secolarizzata che non gli permette di vedere possibilità che superano il livello solo terreno. Penso che il primo “piccolissimo passo” verso la riflessione sinodale sul linguaggio della Chiesa sia partito bene e in modo incisivo. È ora che ci si incominci a pensare insieme con coraggio.
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