Intervista a Marco Pappalardo
La storia di Carlo Acutis, beato deceduto a 15 anni a causa di una leucemia fulminante, è al centro del nuovo libro “Io e C@rlo” edito da Paoline di Marco Pappalardo, protagonista di questo nuovo appuntamento di Cultural-Mente.
Carlo Acutis diceva “Tutti nascono originali, ma molti muoiono fotocopie”. Con i social il rischio è quello di trovare molti trend e prenderne parte diventando un po’ fotocopie. È un rischio concreto?
Il rischio è concreto, ma anche le generazioni precedenti, quelle senza internet, lo avevano seguendo una certa musica o un altro tipo di mode. La cosa principale, e lo dico anche da insegnante e da scrittore di libri per ragazzi, è di non puntare eccessivamente il dito su questi giovani. Sia perché in passato è stato così, sia pure con modalità e forme diverse, e poi perché questo è un problema anche degli adulti, non solo dei ragazzi. Carlo Acutis si distingueva perché aveva già trovato nonostante la sua giovane età un equilibrio.
Quale equilibrio?
Lui era riuscito anche a darsi un tempo, nonostante fosse appassionato di tecnologie, per le cose importanti. Staccava dal PC per dedicarsi allo sport, agli amici, al volontariato, alla messa quotidiana, al rosario. Aveva questa capacità di distinguere cosa fosse veramente importante, senza trascurare i piaceri e le passioni.
In “Io e C@rlo” ci sono delle “impostazioni”…
Sì, io e Paoline abbiamo costruito il libro graficamente affinché rispondesse a questa chiave social, per restare al passo coi tempi e coinvolgere anche visivamente. Oggi, in una società dell’immagine, si legge anche attraverso questo. Per cui alla fine di ogni capitolo di sono queste “impostazioni”, ovvero una serie di elementi che cercano di riportare la vita di Carlo Acutis alla vita degli adolescenti e preadolescenti di questo tempo. Sono domande, spunti di riflessione e altre voci che richiamano il mondo dei social, sono anche dei richiami grafici.
Ha scritto un libro anche su un altro beato, Don Pino Puglisi (3P. Padre Pino Puglisi. Supereroe rompiscatole, Ed. Paoline, 2018). Oltre a quello della fede, c’è un altro collegamento tra queste due figure?
Siamo chiaramente su piani completamente diversi. Don Pino Puglisi era un sacerdote, un educatore, un insegnante. Ha fatto un percorso di vita matura stroncato trent’anni fa dalla mafia. Carlo Acutis era un ragazzo nell’età della crescita, dello sviluppo e della maturità anche spirituale, per quanto il Signore ha colto in lui un fiore certamente bellissimo già in un’età giovane, il che ci dice, e forse è questo il filo rosso che li lega, oltre a quello di essere beati, che c’è un tempo che vale per tutti. L’adulto educatore così come il giovane da educare possono incontrarsi e fare strada insieme e camminare insieme. Noi pensiamo che sia più facile per gli adulti raggiungere certe “vette” e non per gli adolescenti, invece dobbiamo fidarci di loro.
Tornando alla citazione iniziale, se noi morissimo “fotocopie” di Carlo Acutis sarebbe un bene o un male?
Credo che l’idea di Carlo Acutis e il suo principio, il suo motto, valga anche quando parliamo di lui. Noi non dovremmo morire fotocopie di nessuno. Noi siamo stati creati unici e originali. Abbiamo dei modelli. Lui è uno di questi modelli. I modelli vanno prima imitati e poi emulati e quindi in qualche modo superati, ma soprattutto per cercare di realizzare ciò per cui siamo stati chiamati.
Oggi molti giovani si allontanano dalla Chiesa. Tramite i libri vuole lanciare un messaggio per riavvicinarli? E la Chiesa cosa dovrebbe fare? Potrebbe utilizzare i social?
Le cose più belle che ho visto e ascoltato le ho viste e ascoltate dai ragazzi, e spesso in contesti non ecclesiali, in scuole pubbliche, dibattiti e incontri di associazioni. Quindi dobbiamo guardare con un’ottica aperta. Non c’è un libro per qualcuno in particolare. Quando scrivo lo faccio per tutti i ragazzi, non scrivo solo per quelli che frequentano le parrocchie, altrimenti il rischio sarebbe quello che sarebbero pochissimi. Semmai dobbiamo fare il contrario. La Chiesa non dovrebbe disperdere la dimensione culturale anche per i ragazzi. Paradossalmente è più facile che questi libri girino nei contesti pubblici che dentro le parrocchie. Prima di arrivare ai social bisognerebbe recuperare prima la sana lettura. Con proposte adeguate, con una biblioteca che può essere adibita ad aula studio e poi, naturalmente, essere presenti in modo significativo ed educativo e formarsi su questi temi. A proposito di questo, visto che parliamo di Paoline, io con loro ho scritto anche un altro libro con due carissimi amici che si chiama “Testimoniate il Vangelo con la vostra vita: andate in rete”. È un libro uscito un anno e mezzo fa, post-pandemia, che vuole valorizzare tutti i social e le piattaforme dando anche suggerimenti concreti su come la Chiesa nel più ampio possibile possa utilizzarli per valorizzarli.
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