A te la lode e la gloria nei secoli
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 4 giugno 2023.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
Commento
Nella Solennità della Santissima Trinità leggiamo quest’anno un piccolo brano tratto dall’incontro di Gesù con Nicodemo narrato nel Vangelo di Giovanni. In realtà tutte e tre le letture sono interessanti per riflettere sul mistero della Trinità. La prima è tratta dal libro dell’Esodo e ci mostra Mosè che sul monte Sinai sente la voce del Signore parlare di sé. E’ un raro esempio nella Bibbia in cui Dio parla di sé in maniera quasi definitoria, si tratta di un Dio di cui non si ha ancora consapevolezza trinitaria ma che dice di essere misericordioso e pieno di amore: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6).
Nella seconda lettura compare invece la terminologia su Dio come si manifesta nel Nuovo Testamento, anche se non con la maturità e precisione teologica che sarà elaborata solo nei concili del IV secolo. La conclusione della seconda lettera ai Corinzi ha un’intonazione trinitaria che colpisce molto perché specifica la relazione con ciascun membro della Trinità: “la grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”.
Nel Vangelo, invece, troviamo una frase di Gesù che è quasi una sintesi della rivelazione: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Qui entriamo nella storia della salvezza e in questa storia si rivela la realtà di un Padre che ama il Figlio e lo dona per la salvezza del mondo; il Figlio consacrato dallo Spirito del Padre obbedisce liberamente alla sua volontà e ama il mondo fino alla fine, fino alla morte di croce. Questo evento fa da spartiacque nella storia umana e nella vita dei singoli uomini, tanto che la posizione che si prende di fronte a esso decide del proprio futuro eterno. Decidersi per accogliere questa storia di amore vuol dire entrare nel cuore della Trinità con la propria vita.
Noi non crediamo nella Trinità come enunciato teologico semplicemente, ma viviamo una vita immersa nella Trinità. Nella nostra fede siamo in comunione con Cristo cioè lo seguiamo come facevano i suoi discepoli e ci affidiamo a Lui. Le sue parole ci mostrano il Padre e nel Battesimo siamo resi figli nel Figlio. Il Padre di Gesù diventa anche Padre nostro, impariamo a rivolgerci a Lui con fiducia chiamandolo Abba e sentendolo vicino e pieno di tenerezza oltre che potente creatore del mondo. La nostra preghiera e tutta la nostra vita è ricondotta al Padre. Nella comunione con Cristo sperimentiamo anche il dono dello Spirito che è stato “riversato nei vostri cuori” (Rm 5,5) e che vivifica la nostra esistenza con la sua forza suscitando nuove energie per il futuro e per la comunità dei cristiani. La nostra salvezza è dunque l’esperienza di un Dio trinitario.
La nostra fede insiste anche sull’unità di Dio, cioè Padre, Figlio e Spirito Santo sono una sola natura divina. Questo ci parla della profonda comunione d’amore che c’è in Dio e che viene comunicata anche a noi come autentica esperienza: “come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). L’unità di Dio è salvezza per l’uomo. Cogliamo, infine, la bellezza della dottrina trinitaria ma anche la sua difficoltà o, per meglio dire, la sua ineffabilità. A un certo punto le parole devono fermarsi, sentire la propria pochezza e lasciare spazio alla contemplazione. Ascoltiamo un Padre della chiesa, Gregorio di Nissa: “non è possibile circoscrivere con esattezza per mezzo del significato di un nome la natura illimitata, ma ogni potenza di pensieri, ogni affermazione di parole e di nomi, anche se apparentemente posseggono una grandezza confacentesi alla natura di Dio, non possono, per loro natura, toccare quello che veramente è, ma la nostra ragione congettura qualcosa su quell’essere, che è ignoto, seguendo solamente delle orme, se così si possono chiamare, e dei barlumi, e immagina l’incomprensibile per via di analogia, basandosi su quello che riesce a comprendere” (Omelie sul Cantico dei Cantici, omelia I).
L’opera d’arte
Andrea Previtali, Trinità con Sant’Agostino e il Beato Giorgio da Cremona (1517), Almenno San Salvatore (Bergamo), chiesa di San Nicola. Formatosi alla scuola di Giovanni Bellini a Venezia e ispirato dalle opere di Lorenzo Lotto, Andrea Previtali realizzò questa tela per gli Agostiniani di San Nicola di Almenno San Salvatore. La composizione è a forma triangolare con all’apice Dio seduto su di un trono, e ai lati le raffigurazioni del Beato Giorgio da Cremona e di Sant’Agostino, entrambi genuflessi. Centrale, nella parte superiore, la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Dio Padre, un vecchio dalla lunga barba bianca, che guarda l’osservatore, sostiene la croce su cui è appeso Gesù, il Figlio crocifisso. La scena si sviluppa in una grande sala divisa da un drappo rosso, leggermente spostato dal vento sul lato sinistro. Il soffitto presenta travi a vista, mentre sulla parete di fondo si aprono due finestre: quella di destra ha un’anta aperta che lascia vedere il cielo, mentre in quella a sinistra mancano di tre vetrini, particolari che, seppur nell’unità compositiva – la Trinità appunto – denotano la volontà dell’artista di attirare l’attenzione dell’osservatore sulla resa dei dettagli.
V.P.