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Diario missionario dal Madagascar /7

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /7

Sulla tomba del missionario Luciano Lanzoni presso la Ferme St François d’Assise a Manakara (Foto Pagina Facebook Missio Modena)

 

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 8

Ritiro spirituale alla Ferme St François d’Assise a Manakara, sulla tomba di Luciano Lanzoni.

Qui di seguito una sintesi – elaborata da don Antonio – della meditazione del vescovo Erio Castellucci sul brano dei discepoli di Emmaus (Luca 24,13-35), per il cammino sinodale delle chiese.

Ogni brano del vangelo ha tre livelli di lettura, fa riferimento a tre epoche: il periodo dei fatti (gli anni 30 dopo Cristo), quando è stato scritto (70-80 dopo Cristo), e il 2023 dopo Cristo, il periodo in cui si legge. C’è quindi un’intenzione redazionale in chi ha scritto.

Il primo giorno: è il tempo della festa e della feria, Gesù ci cerca sempre.

Due discepoli: potrebbe essere anche una coppia, ciascuno di noi può essere quel discepolo di cui non si dice il nome. È quindi la nostra storia. Di Emmaus nella Bibbia non si parla. È il ritorno alla vita di prima, il villaggio dei rimpianti.

Sono disillusi, ma prima è sottolineato un fatto. Gesù si avvicina con passo felpato, prende lui il passo dei discepoli. Non comanda, si accosta. Esprime delicatezza.

I loro occhi erano impediti. Non hanno fatto l’incontro vivo. Le cose sapute non hanno scaldato il cuore.

Gesù pone delle domande. Nei vangeli lo fa 217 volte. Perché dalla persona emerga quello che ha dentro, la tristezza in questo caso.

Col volto triste. Gesù ha colpito nel segno. E fa un’altra domanda. E loro recitano il credo.

Noi speravamo. L’imperfetto è il tempo verbale della delusione. Tutto è caduto.

Continua il credo. Le donne non avevano capacità testimoniale. Le apparizioni a loro toglievano valore alla loro testimonianza. Nonostante siano un rafforzamento di quanto avvenuto.

Lui non l’hanno visto. Fine dei giochi.

Cosa potevano intendere i due discepoli: il Maestro aveva predicato da messia. La crocifissione ha smontato nella maniera più assoluta queste pretese. Era una condanna per cui dovevano intervenire i romani e doveva avvenire fuori di Gerusalemme. Perché gli ebrei collegavano sofferenza, pena e peccato. Erano arrivati a giustificare la sofferenza col peccato come pena che si poteva trasmettere fino alla terza/quarta generazione (ad esempio, il brano evangelico del cieco nato).

Ogni pena di morte era considerata espiatoria, non la pena della crocifissione. Era così orribile, poteva durare giorni, era usata come deterrente, che per gli ebrei era segno di maledizione. (Cf. Gal; Lv).

Gesù li prende in contropiede: “stolti…”. Avevate un’altra possibilità, credere che è vivo… se dagli occhi cade il velo sulle scritture: Gesù dà la chiave di lettura cristologica, il sigillo è tolto (cf. Ap, i sette sigilli attraverso l’agnello, cioè la Sua Pasqua).

Nell’Antico Testamento le violenze sono in ogni pagina ma Dio non cambia popolo. Educa le persone di “dura cervice”. Dando la lettura delle cose alla luce della Pasqua. Ecco la necessità di una predica lunga 11 chilometri.

Gesù non si impone neanche all’arrivo. Ha trasmesso il fuoco ma non costringe mai. Dà tutto quello che deve dare ma non mette mai al guinzaglio.

Resta con noi: ha aperto una strada in controtendenza rispetto alle loro delusioni.

Se lui passa oltre si fa notte, non c’è più la luce. Allora invitano il forestiero: è un gesto di accoglienza, come Abramo con i tre sconosciuti.

Gesù quasi ripete l’ultima cena, si fa eucaristia. Il cuore era stato aperto, ora è possibile aprire gli occhi. Quando il Signore si offre e condivide ha dato tutto della Sua identità, quindi lo possiamo riconoscere.

Ora che possono fargli tante domande… la delicatezza di Gesù: non si fa accerchiare (evita l’“effetto chioccia”) perché devono muoversi loro.

Caratteristiche della predica di Gesù: lui è il centro; è un buon predicatore; la sua predica è itinerante, dona parole in cammino con i discepoli.

Chi l’annuncia (chi segue queste caratteristiche) non si mette alla partenza e dice “andate”, o all’arrivo e dice “muovetevi”: cammina insieme agli altri, ecco il sinodo.

Ripartono in fretta, come Maria dopo l’annuncio dell’Angelo. La fretta di chi ama, non di chi è indaffarato. La fretta di chi sa di avere qualcosa da comunicare.

Affrontano 11 chilometri di notte, ma la luce che hanno dentro rende giorno il percorso.

Gerusalemme è la città della missione. Gesù ha accompagnato chi era deluso, ma il viaggio di ritorno lo fanno loro, egli non si mette in mezzo stavolta. (Cf. Deutero-Isaia, come un pastore con il gregge porta gli agnellini al petto, conduce pian piano le pecore madri, ma quelle che riescono, avanti).

Veramente è risorto: l’annuncio è pieno, il credo ora è completo. Sentono il bisogno di raccontare. Ciò che conta per noi noi lo diciamo sempre nel modo del racconto, non della logica.

Anno del redattore: torniamo allo spezzare del pane. L’evangelista Luca usa una terminologia eucaristica. Ha già alle spalle un’esperienza di quattro decenni di messe. E legge l’Eucaristia come incontro col Risorto: hanno vissuto una messa itinerante, la struttura vissuta è la stessa. Ripassiamola.

La Chiesa non è un “self service” ma un’assemblea radunata.

Per prima cosa chiediamo perdono per aver percorso un trattoria di strada al contrario.

Poi la liturgia della Parola, a partire da Mosè a tutti i profeti, fino alla chiave cristologica con la lettura del Vangelo.

Poi dopo l’omelia (nel brano dei discepoli di Emmaus fatta da Gesù) il credo e la preghiera: “abbiamo bisogno di te Signore, resta con noi…”.

L’offertorio è l’accoglienza delle persone forestiere perché si raccoglie per condividere.

Gesù prende la nostra povera offerta e la unisce al pane (i legami riusciti) nel vino (i legami feriti) e Lui la distribuisce.

E poi c’è la missione: siamo noi che dobbiamo farci pane spezzato, recuperare la città cosmopolita degli uomini.

Anno 2023: adesso sta a noi capire. La messa è il concentrato della nostra vita cristiana ordinaria (vedi le dimensioni elencate sopra).

Qui da Luciano Lanzoni, in questi luoghi carichi di Vangelo, siamo chiamati a rimotivare la nostra missione ordinaria, e ad aprire gli occhi sul bene fatto da tanti, molto spesso nel nome di Gesù vivo.

Siamo chiamati a scrollarci di dosso le polemiche. L’essenziale è davvero poco: lasciarsi incontrare per incontrare i fratelli.

Diario missionario dal Madagascar /7

Riflessioni finali di don Antonio

Torno a riflessioni mie: la tomba di Luciano è al centro della Ferme, come un seme gettato nel terreno. Ora tocca a noi portare frutto col nostro servizio missionario.

Nel pomeriggio don Simone ci mostra la Ferme. Oggi è gestita dell’associazione di Reggio “Familiaris Consortio”, e ospita, dando per un anno vitto, alloggio ma soprattutto formazione agricola, 10 famiglie giovani.

Rientrando a Manakara (la Ferme è appena fuori), siamo andati al mercato: un’esplosione di colori, contrattazioni e di umanità.

Poi siamo andati a contemplate l’Oceano Indiano e la forza del suo mareggiare. Il pensiero si è aperto a orizzonti grandi. La sorpresa è stata assistere al sorgere all’orizzonte della Luna piena: la Chiesa è il “mysterion Lunae”, esiste ma solo perché riflette una luce non sua.

Durante la messa, nella memoria liturgica di San Tommaso Apostolo, il vescovo Erio ha sottolineato che il Risorto si presenta con le ferite e lì chiede di essere incontrato. La carne ferita di Cristo che sono i poveri, la Chiesa ferita, noi pieni di ferite per sofferenze, peccati, limiti. Lì chiede di essere incontrato, di non girare pagina.

Il cristiano di fronte alle ferite non si abbatte ma le affronta sapendo che da lì può trovare vita e Risurrezione.

Ringraziamo Tommaso che si è impuntato per vedere il Risorto e lo ha riconosciuto nelle Sue ferite che adesso sono la via per trovare la vita.

Ah, ho dimenticato di raccontarvi che ho assaggiato lo Zaty, un frutto molto buono che da noi non può arrivare perché marcirebbe nel percorso prima di arrivare da noi.

7-continua

 

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