Intervista a Paolo Nespoli
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale
Con Paolo Nespoli abbiamo una cosa in comune: entrambi da bambini volevamo fare gli astronauti. Io, pur essendo tutt’oggi molto desideroso di diventare un turista spaziale, ho coltivato altre passioni. Nespoli, invece, astronauta lo è diventato davvero. È stato tre volte nello spazio per un totale di 313 giorni, 2 ore e 36 minuti. Nespoli è stato ospite il 10 settembre al Modena Nerd, l’evento svoltosi nella vicina città della Ghirlandina che ha raccolto decine di migliaia di appassionati del mondo nerd provenienti da tutta Italia. Per questo appuntamento di CulturalMente l’ho incontrato per porgergli qualche domanda.
Partiamo dal suo ultimo libro per Mondadori. Come nasce “L’unico giorno giusto per arrendersi”?
Originariamente questo romanzo è nato perché la Mondadori con la quale avevo pubblicato il primo libro, mi aveva chiesto di scrivere un altro volume. Io non sono uno scrittore, sono un ingegnere. All’inizio ero un po’ titubante, poi mi hanno detto “potresti scrivere la tua biografia”. Però io ho detto loro che la biografia non l’avrei scritta.
Perché?
Scrivere una biografia vuol dire scrivere una storia vera. Alla Mondadori ho detto “non scrivo una biografia, scrivo un romanzo”. Perché? Volevo creare dei miei personaggi inventati e far fare loro quello che voglio. Volevo sentirmi libero. All’inizio erano titubanti, poi hanno accettato la mia proposta. Mi hanno “dato” una persona, che tra l’altro ringrazio alla fine del libro, Flavio Troisi. È stato molto funzionale a “discutere” personaggi e storie. Mi sono trovato bene nel confrontarmi con qualcuno e “arrotondare” un po’ le storie “spigolose” che avevo in mente. Salta fuori questo libro che sostanzialmente prende alcune cose che io ho vissuto, dei personaggi non reali e un insieme di cose che vedo. Io da ragazzino quando vedevo il futuro, non lo vedevo roseo, questa cosa qui la vedo in moltissimi ragazzi di oggi che si vestono di nero, mangiano male, si tagliano e fanno altre cose “pesanti”. Ho costruito un personaggio [Stella, n.d.r.] che assomiglia a uno di questi ragazzi con l’obbiettivo di far capire loro che la vita non è questa cosa buia.
Sostiene che da lassù i problemi sembrano più piccoli. Perché?
Noi siamo sulla Terra e guardiamo questo pianeta come se fossimo in un museo e guardassimo un quadro in maniera troppo ravvicinata e non riusciamo a percepire l’insieme. Sulla Terra noi notiamo i dettagli, ma perdiamo la figura nel suo insieme. Siamo molto frazionati su questo pianeta. Dobbiamo guardare il quadro. Sopra di noi c’è un’atmosfera che è un muro che ci separa dal vuoto dell’Universo. Se non ci fosse l’atmosfera noi non ci saremmo. Ma l’atmosfera non è frazionata in nazioni, è un unicum. Dobbiamo lavorare insieme per mantenere questa atmosfera.
E’ stato tre volte nello spazio…
Diciamo che sono stato nello spazio tre volte, ma la prima missione è stata di corta durata, sono stato nello spazio circa un paio di settimane. La missione ci è stata presentata come la più complessa per lo Shuttle. Era una missione densa. Quando voli come membro della Stazione Spaziale Internazionale hai un respiro diverso.
Lei è stato ospite al Modena Nerd…da giovane era un nerd?
Siamo un po’ tutti nerd, io da ragazzo ero molto attirato dalle cose tecniche. Lavoravo nell’oratorio e facevo i film e lavoravo con la macchina fotografica, mi piacevano queste cose un po’ tecniche rivolte verso l’arte, ma mi piaceva molto l’aspetto tecnico e rivedo nei ragazzi di oggi questa cosa. Attraverso l’aspetto tecnico riescono a capire anche quello emotivo. Io da ragazzo non ero proprio nerd come quello della definizione americana, un po’ disadattato e fuori di testa, ma, ad esempio, c’era un mio amico quando ero ragazzo che era un po’ più grande di me e aveva un laboratorio di elettrotecnica e io quando avevo un po’ di tempo andavo da lui e prendevo una radio, la smontavo e cercavo di ripararla.