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Il Signore è buono e grande nell’amore

Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 17 settembre 2023.

Il Signore è buono e grande nell’amore

 

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. (…) Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto». (…)

Commento

Domenica 17 settembre Letture: Sir 27,33-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35 Anno A – IV Sett. Salterio Continuiamo questa domenica e terminiamo la lettura del discorso comunitario del vangelo di Matteo. Il brano di oggi è incentrato sul tema del perdono. Pietro si rivolge a Gesù chiedendo quante volte si deve perdonare un fratello che pecca contro di noi. Si tratta di un interrogativo molto umano perché, anche volendo perdonare, è spontaneo immaginare un limite. Pietro propone un numero che probabilmente per lui è alto, fino a sette volte. Gesù con la sua famosa risposta, fino a settanta volte sette, alza la posta in gioco. Il gioco dei numeri è qui abbastanza chiaro. Sette è un numero alto, settanta volte sette in pratica vuol dire sempre. Questi numeri fanno riferimento a un versetto della Genesi in cui il violento Lamec dichiara il suo desiderio di vendetta illimitata: «sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gn 4,24). Alla logica di Lamec Gesù contrappone l’insegnamento di un perdono illimitato. Il perdono, di cui Gesù ha tanto parlato nel vangelo, è uno degli aspetti più esigenti del cristianesimo. La posizione di Gesù è chiara: si deve perdonare sempre e perdonare di cuore, non solo in maniera formale e superficiale, non basta limitarsi a non vendicarsi. Ma cerchiamo di capire bene la posizione di Gesù.

La necessità del perdono non deriva da una generica volontà di essere buoni, dal desiderio di mantenere buoni rapporti o pace sociale, ma si radica in una profonda verità teologica. La novità proviene dalla consapevolezza che il Padre è misericordioso e perdona in sommo grado tutti i peccati degli uomini. Anche il Dio dell’antico testamento perdonava e c’era l’insegnamento del perdono al prossimo, ma per Gesù tutto diventa più radicale. È la nuova consapevolezza della qualità di Dio, la nuova esperienza che Gesù fa del Padre che lo porta a enfatizzare il tema del perdono. Come si vede bene nella parabola esplicativa che segue nella quale il padrone, immagine di Dio, condona tantissimo a un uomo che poi non sa fare altrettanto con chi gli deve una quantità di denaro molto più piccola. È l’esperienza di essere stati perdonati che muove al perdono, a una nuova considerazione dell’offesa che gli altri fanno a noi. L’insegnamento del perdono e la sua pratica si radicano nell’esperienza personale e interiore di avere incontrato un perdono che risana e ridà la vita. Il perdono al fratello manifesta quindi la qualità del nostro incontro con Dio. Ne nascono alcune considerazioni. Oggi abbiamo spesso smarrito il vero senso teologico del peccato, che è diverso dal senso di colpa psicologico, e in generale è diminuita la nostra percezione di essere bisognosi di perdono.

Tutto questo ci impedisce di sperimentare realmente la misericordia di Dio. Non si tratta di fare l’esperienza di un cupo senso del peccato ma di vivere la gioia della rinascita che genera l’essere perdonati; solo questo ci da la forza di incamminarci verso il perdono del fratello. Si deve tenere presente anche che perdonare non vuol dire mistificare la realtà, cioè non significa dare un giudizio positivo di ciò che è negativo. Banalmente non siamo chiamati a dare ragione a chi ci ha fatto del male, ma a bloccare quel male sul nascere. Dobbiamo riconoscere tuttavia che la pratica del perdono così come la insegna Gesù è uno degli aspetti più difficili del cristianesimo. In realtà la sua possibilità dipende dalla profondità della vita spirituale: riesce a perdonare di cuore chi è libero dal senso del possesso di sé, chi si sente tanto amato da non temere perdite. La questione del perdono è talmente centrale che l’ultimo versetto del brano ci dice che il giudizio finale sarà duro per quelli che in vita non hanno perdonato i fratelli. Il perdono è davvero un banco di prova di quanto la fede ha trasformato il nostro cuore fin dalla radice.

L’opera d’arte

Claude Vignon, Parabola del servo malvagio (1629), Tours (Francia), Musée des Beaux Arts. Fra le rare opere raffiguranti la parabola che leggiamo nel Vangelo di questa domenica, vi è quella realizzata dal francese Claude Vignon. Grande conoscitore della pittura italiana – dal manierismo a Caravaggio, dai Carracci a Guido Reni – l’artista fu molto richiesto dalla committenza laica ed ecclesiastica del suo tempo, lavorando anche per il re Luigi XIII e il cardinale Richelieu.

Uno stile “magniloquente”, quello di Vignon, ben visibile in quest’opera in cui è raffigurato il momento finale della parabola, quando, dice Gesù, “sdegnato, il padrone diede in mano agli aguzzini (il servo malvagio), finché non avesse restituito tutto il dovuto”. L’intensità della scena è data dalla contrapposizione dei due protagonisti – la durezza del “re” padrone e il volto angosciato del servo trascinato dalle guardie – e dalla sontuosità dell’abbigliamento del primo, del mobilio e della tenda sullo sfondo a destra. Da notare, sul tavolo, una natura morta costituita dai libri, a cui il pittore dà rilievo mettendoli in primo piano, registri che sono la prova inconfutabile delle malefatte del servo.

V.P.

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