Non servono muri denudati
Crocifisso, scuola e laicità
di Luigi Lamma
“Non mi scanso per voi ma per lui” disse Peppone, “e allora togliti il cappello” rispose don Camillo. “Lui” è il crocifisso verso il quale anche l’ostinato sindaco mangiapreti si rassegna ad un gesto di ossequio. Il crocifisso, prima che simbolo identitario come molti amano definirlo riducendolo a pura immagine, è segno di contraddizione che chiama ad un’ardua imitazione coloro che dicono di credere che quello è il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per la salvezza di tutti, e provoca, anche da “rimosso”, la riflessione su una visione positiva di laicità nel contesto della scuola pubblica, come avvenuto nei giorni scorsi alla scuola media O. Focherini di Carpi. L’iniziale decisione della Dirigente di non ricollocare i crocifissi nelle aule dopo i lavori di tinteggiatura, giustificata con l’affermazione “la scuola non è una chiesa”, come prevedibile, ha scatenato la reazione dei media, della politica e dell’opinione pubblica sui social. A distanza di pochi giorni tutto rientrato e i crocifissi possono tornare di nuovo al loro posto.
Senza indugiare troppo su dettagli e versioni dei fatti a volte contrastanti, la vicenda presenta aspetti che vale la pena cogliere soprattutto perché coinvolge l’ambito scolastico, luogo formativo ed educativo, strategico per la crescita dei cittadini del futuro. Sul piano giuridico esiste una ricca giurisprudenza nazionale ed europea su cui si sono poi sviluppati studi e approfondimenti, tutti disponibili in rete. Come sintesi possiamo assumere l’esito della sentenza della Corte di Cassazione (n. 24414 del 9 settembre 2021) secondo la quale il Crocifisso rappresenta “l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”, non crea divisioni o contrapposizioni, anzi è segno di partecipazione al sofferenze dell’umanità, e in questo senso parla di amore, di accoglienza e di fraternità.
Inoltre il Crocifisso esposto alla parete non implica alcun atto di adesione alla fede e non interferisce con la possibilità di ciascun insegnante di manifestare le proprie convinzioni religiose, anche critiche. Sempre la Cassazione ha stabilito che la decisione di esporre (o nel caso in questione della scuola di Carpi di rimuovere) il crocifisso dovrebbe essere presa dalla comunità scolastica “in autonomia”, e nel rispetto di tutti, valutando anche l’eventuale possibilità di accompagnarlo “con i simboli di altre confessioni presenti nella classe”, e sempre ricercando in ogni caso un “ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi” tale da consentire “la convivenza delle pluralità”. Su questo punto in particolare si erano concentrate le ragioni addotte dai docenti nella richiesta di un maggiore coinvolgimento della comunità scolastica nei suoi organi di partecipazione più rappresentativi.
Un pur efficace lettura giuridica non è sufficiente se non viene abbinata ad una sensibilità educativa, considerata la vocazione dell’istituzione scolastica. Una posizione con queste caratteristiche la ritroviamo in un testo di Joseph Weiler, ebreo, professore di diritto presso la New York University e professore onorario presso la London University, Premio Joseph Ratzinger nel 2022, che fu relatore davanti alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Lautsi contro Italia (giugno 2010). Un intervento che ebbe ampia risonanza nel quale Weiler affermò tra l’altro: “Ancora più allarmante sarebbe una situazione in cui i crocifissi, che stavano sempre là sul muro, di colpo venissero rimossi. Non fate quest’errore. Un muro denudato per mandato statale, come in Francia, può suggerire agli alunni che lo Stato sta prendendo un atteggiamento anti-religioso. Noi abbiamo fiducia nei programmi scolastici della Repubblica francese, che insegnino ai loro bambini la tolleranza e il pluralismo, ed allontanino una tale nozione. C’è sempre un’interazione tra quello che c’è sul muro, e come esso è discusso e insegnato in classe.
Ugualmente, un crocifisso sul muro potrebbe essere percepito come coercitivo. Ancora, dipende dal programma svolto in classe contestualizzare e insegnare al bambino nella classe Italiana la tolleranza e il pluralismo. Potrebbero anche esserci altre soluzioni, come mostrare simboli di più religioni, o trovare altri modi educativi appropriati per veicolare il messaggio del pluralismo. È chiaro che date le diversità dell’Europa su questo punto non ci può essere una soluzione che sia calzante per ogni Paese membro, per ogni classe e per ogni situazione. C’è bisogno di tenere conto della realtà politica e sociale dei diversi luoghi, della sua demografi a, della sua storia e delle sue sensibilità e delle suscettibilità dei genitori.
Però, la Francia con il crocefisso sul muro non è più Francia. L’Italia, senza, non è più l’Italia. Così l’Inghilterra senza God Save the Queen”. A proposito di “muri denudati” e per chiudere con un tocco di rara bellezza letteraria, un attento lettore, che ringrazio, ha indicato come contributo al dibattito in corso un breve racconto dello scrittore Einrich Boll dal titolo “Viandante, se giungi a Spa…” che volentieri condivido nella parte in cui il protagonista, gravemente ferito in battaglia, ricorda i locali della scuola della sua infanzia e quella “macchia cruciforme” sulla parete che non se ne voleva andare nonostante gli sforzi dell’imbianchino. Una bella pagina di letteratura che varrebbe la pena rileggere insieme agli alunni delle “Focherini” mentre si provvede alla tinteggiatura delle aule. “(…) Ero di nuovo sospeso, e stavolta passavo accanto all’uscio e, nel passargli accanto, riscontrai un’altra coincidenza: sopra l’uscio, un tempo, pendeva una croce, quando la scuola si chiamava ancora “S. Tommaso”, e a quel tempo avevano tolto il crocifisso, ma restava ancora stampata sul muro una macchia cruciforme, fresca, color giallo scuro, nitida e precisa, che si vedeva quasi meglio del vecchio, piccolo, slavato crocifisso di un tempo, che avevano allontanato.
L’impronta della croce rimaneva bella e pulita, sull’intonaco sbiadito del muro. Quella volta, furibondi, avevano ridipinto a nuovo l’intera parete, ma non era servito a nulla: l’imbianchino non aveva azzeccato il colore giusto. La croce restava lassù, brunastra, ben visibile, mentre il resto del muro era rosa. Avevano imprecato a tutta forza, ma invano: la croce restava dov’era, bruna e ben visibile, sul rosa della parete, e io credo che abbiano dato fondo a tutto ciò che potevano spendere in colori senza cavare un ragno dal buco. La croce era ancora là, e, se si guardava attentamente, si distingueva persino un’impronta obliqua lungo il braccio destro, là dove per anni era stato appeso il ramoscello di bosso, che il bidello Birgeler fissava là dietro, quando era ancora permesso appendere i crocifissi nelle scuole”.