L’indipendenza del giudice
“Lo sportello di Notizie”: l’avvocato penalista Cosimo Zaccaria interviene su questioni inerenti il vivere quotidiano
In questo periodo, si parla molto di Giudici e della loro indipendenza. Tutti – in apparenza – concordano su un principio: il giudice deve essere indipendente, ovvero decidere in autonomia e senza condizionamenti, in altre parole deve essere equo. Chi mai vorrebbe essere giudicato da un giudice NON indipendente, privo di equità? Il giudice – nel pensiero comune e forse sulla base del diritto naturale – è giusto e quindi equo ed autonomo per definizione.
E allora per quali ragioni, nei giorni nostri, s’invoca a gran voce la sua indipendenza, come se non esistesse? Si noti bene: il richiamo giunge non solo dai normali cittadini, ma anche dai politici e dagli stessi giudici. E’ evidente che qualcosa non sta funzionando e allora è opportuno tornare alla radice del concetto ed esaminarlo con onestà intellettuale. In primo luogo è giusto domandarsi da chi il giudice deve essere indipendente. Soffermandoci sulla domanda, la risposta più intuitiva è: da altri soggetti che direttamente o indirettamente possono o vogliono condizionarlo. Sotto questo punto di vista, il sistema giuridico italiano è perfetto sulla carta, basandosi sulla divisione dei tre poteri fondamentali, quello legislativo (spettante al parlamento), quello giudiziario (ai giudici), quello esecutivo (al governo).
I tre poteri potranno e dovranno dialogare fra loro, confrontandosi, ma mai prevaricandosi. In concreto: se un giudice, ritiene in un caso specifico, non applicabile un decreto emanato dal governo, potrà disapplicarlo, in modo motivato. Parimenti il governo, anziché contestare il giudice o condizionarlo, potrà ricorrere con un appello o altro strumento previsto dall’ordinamento per far valere le proprie ragioni e domandare ad un organo giudiziario superiore l’applicazione dei propri diritti. Quello che il governo non potrà, sarà condizionare in modo non conforme alla legge l’operato del giudice.
Ma non è finita qui. Si torni alla domanda in radice, ovvero quale altro condizionamento può minare l’indipendenza del giudice? La risposta è altrettanto semplice: l’ideologia, le convinzioni personali del giudice. Il giudice, quando è chiamato ad esercitare la sua funzione, oserei dire quasi suprema, deve agire studiando il caso concreto applicando le leggi dell’ordinamento, evitando di essere condizionato dalle proprie convinzioni personali, ideologiche, politiche. Il giudice deve, per legge, per giustizia, per diritto naturale, essere neutrale e lasciare le proprie convinzioni nel cassetto del proprio animo, evitando di invischiarle nella funzione suprema del decidere.
Ed ecco che, tornando al caso precedente, se il giudice disapplica un decreto del governo per motivazioni puramente ideologiche e/ o politiche, non è indipendente. Subisce una forma di attacco endogeno alla propria autonomia. Il giudice che si trovi in una simile situazione, dovrà astenersi dal valutare, oppure, più semplicemente, applicare le leggi che non condivide ma che ha giurato di rispettare. Diversamente, se dovesse non applicare il decreto “perché non gli piace”, sarebbe – per propria scelta personale non più indipendente, violando la sua funzione ed intromettendosi nel potere esecutivo esercitato dal governo. Banalizzando il caso, quale squadra di calcio vorrebbe come arbitro un tesserato della squadra avversaria?
Tornando all’inizio e concludendo, si può comprendere quanto sia sottile il tema dell’indipendenza del giudice, indipendenza che potrà essere attaccata non solo dall’esterno, ma anche “dall’interno”, ovvero dalle convinzioni proprie del giudice. L’unico vero antidoto a simili distonie – a mio sommesso parere – resta la coscienza, la consapevolezza del ruolo, l’onestà intellettuale di tutti, sapendo che un giudice NON indipendente o che viene reso NON indipendente non è un giudice.