La cura: un’opera d’artigianato
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon.
L’artigiano è colui che fa a mano la sua opera; le macchine fanno in serie i loro prodotti ma questo non è artigianato. Così è la cura, se fatta in serie, meccanicamente, senza passione né coinvolgimento, significa che ha come obiettivo il fare un prodotto, mentre, quella fatta artigianalmente, è sintonica con il paziente, mette in campo tecnica e passione, biologia e filosofia, serio distacco e coinvolgenti sentimenti… è per questo che la scienza medica è un’arte.
La vita ci mostra come ogni cosa, ogni persona, ogni situazione, necessita di cure: la massaia innaffi a i fiori del suo balcone, la domestica pulisce il pavimento della casa, il contadino strappa le erbacce dai suoi raccolti e, a maggior ragione, la cura dell’umano è una necessità, al di là della presenza o meno di una patologia. Per curare l’altro, prima di tutto, bisogna curare sé stessi senza però fermarsi a sé, altrimenti si diventa narcisisti, persone che guardano solo nel loro intimo e non si accorgono di chi gli sta intorno. L’attenzione all’altro può essere a vari livelli (di pura umanità, psicologica, materiale, educativa…) ma è sempre biunivoca, ovvero, piegandosi verso l’altro, si ha sempre un ritorno verso di sé, a volte positivo altre volte pesante da digerire.
Quando una cura generica diventa praticata da un professionista della salute, questa prende il nome di terapia. Chi cura una persona malata, ogni terapeuta, non è mai un meccanico che ripara degli oggetti ma una persona che è in rapporto con un’altra persona, così facendo, ci si accorge che non è sufficiente una preparazione tecnica, non è sufficiente la filantropia, non è sufficiente la buona volontà ma si deve essere preparati anche interiormente, pensando a quello che si fa e ripensando, dopo, a quello che si è fatto. L’essenza di ogni rapporto curativo si concentra proprio su questa consapevolezza e questo diventa difficilissimo in un contesto storico e culturale come il nostro dove tutti si preoccupano solo di loro stessi e del loro tornaconto. Il risultato è che il treatment non diventa care, gli ospedali si trasformano in aziende con al centro i loro bilanci, gli operatori sanitari devono adeguarsi ai ritmi aziendali, perdendo qualsiasi qualità umana e spesso, lasciando un cattivo ricordo negli ammalati che hanno curato.