“Quel prete da fucilare”, è uscito il libro di don Bruno Fasani
Il direttore di Notizie, monsignor Bruno Fasani, ha pubblicato in un romanzo la storia dello zio don Antonio Fasani, prete eroico della resistenza cattolica veronese
I fatti storici raccontati nel romanzo di Bruno Fasani “Quel prete da fucilare”, da poco in libreria, accaddero negli otto mesi che vanno dal settembre del 1944 fino all’aprile del 1945 in una zona compresa tra Bosco Chiesanuova, in particolare nel piccolo paese di Lughezzano, dove allora era parroco don Antonio Fasani, la contrada Rocca, ultima contrada della parrocchia di Lugo ai confini con Erbezzo, dove vivevano i fratelli di don Antonio, e la città di Verona. Scrive don Antonio Fasani nelle sue memorie: “Fino al settembre del 44 la situazione a Lughezzano fu caratterizzata da una relativa calma senza che si avessero dei fatti di rilievo tolto il continuo passaggio di soldati e ufficiali nazifascisti che si recavano a Bosco Chiesanuova dove c’era la scuola allievi ufficiali”.
Le cose cambiarono anche a Lughezzano a partire proprio dal settembre del 1944. Bruno Fasani, dopo aver raccolto nella propria famiglia le fedeli testimonianze dei protagonisti, e dopo aver dato alle stampe nel 2018 le memorie dello zio don Antonio in una edizione critica curata da Maurizio Zangarini per l’Istituto veronese per la Storia della Resistenza, ha voluto raccontare quei fatti per rendere onore a un uomo, a un prete che ha creduto evangelicamente nei valori della libertà e della democrazia. E perché ha voluto che “non si perdesse l’attenzione sul pericolo delle dittature striscianti, sempre pronte a fare capolino, ammantate di buoni intenti e di promesse lusinghiere”.
La bravura di Bruno Fasani si coglie in tutte le pagine del romanzo perché, sempre rimanendo fedele alla narrazione storica dei fatti, sa raccontare il legame e il rispetto di tutta una popolazione verso la figura carismatica di un sacerdote che amava i suoi parrocchiani come persone della propria famiglia, sa mettere in luce l’orrore e le nefandezze umane impersonate dal torturatore sadico, sa far rivivere il disperato dolore del giovane partigiano innamorato e tradito nei suoi affetti più cari, sa entrare nell’anima di ogni singolo personaggio per rivelarne aspetti reconditi, contraddittori, nefandi, o lineari e ammirevoli. Romanzo anche di attualità in questo periodo in cui le guerre e le vendette sono giustificate e osannate.
Le pagine conclusive del romanzo riportano la nostra attenzione su quanto è successo alla fine della guerra quando era possibile vendicarsi dei gravi soprusi subiti. Nel colloquio con il suo sacrestano, il mitico Mene, che vorrebbe che si facesse qualche nome e che i fascisti non la devono passare liscia, come se non fosse successo niente, don Antonio replica: “Lascia stare Mene. La giustizia arriva da sola, come le stagioni. E magari nascosta ai nostri occhi. Poi non sappiamo neppure cosa sia giustizia. Punire o perdonare? Finché ero nella caserma di Borgo Trento sono venuto a conoscenza del nome di alcuni delatori, che mi avevano accusato. Però ho fatto la scelta del silenzio e del perdono, pensando che un granellino di incenso, al duce, lo abbiamo bruciato tutti. E così alla vendetta, che divide e fomenta l’odio, preferisco il perdono che unisce e porta alla carità”.
Alla fine della guerra, a dimostrazione della partecipazione dei cattolici e di molti sacerdoti alla guerra di liberazione, Umberto Ricca, comandante del gruppo bande armate Pasubio in data 27 giugno 1945 scriveva al vescovo monsignor Girolamo Cardinale: “Sento profondo il dovere, quale Ufficiale del Regio Esercito e Comandante partigiano di esprimere all’Eccellenza Vostra la grande mia riconoscenza e dei miei partigiani per l’opera attiva, patriottica, infaticabile, che tutti i numerosi sacerdoti della diocesi di Verona, da me conosciuti durante il periodo in cui ero comandante partigiano, hanno condotto con una modestia pari al loro eroismo, in favore della causa.
Mi addolora il solo fatto di non poter indicare che parzialmente ed in modo frammentario alcuni degli infiniti atti di carità e di patriottismo effettuato da tali sacerdoti. Purtroppo la maggior parte delle persone resterà ignorata, data la loro naturale modestia. Posso esplicitamente affermare di aver trovato presso il clero della diocesi asilo, protezione, aiuto sempre, anche nei momenti più difficili e disperati”. Tra i numerosi esempi citati espressamente con nome e cognome dei preti il colonnello ricorda: “Il parroco di Lughezzano, Don Antonio Fasani, mi ha recuperato in casa sua, allorché ero personalmente ricercato, ed ha favorito il collegamento fra me e i miei uomini. Per tale motivo è stato arrestato”.
L.L.