I ricordi più belli? Nel perdono di Dio
“Uniti nel dono”: don Carlo Truzzi, parroco di Cortile di Carpi, al servizio degli anziani e degli ammalati
di Virginia Panzani
82 anni, sacerdote dal 1964, già docente di Patristica presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio Emilia, lo Studio Provinciale dei Dehoniani a Bologna e presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese, dal 1998 al 2016 parroco di Santa Maria Maggiore a Mirandola, don Carlo Truzzi è oggi alla guida della parrocchia di San Nicola di Bari a Cortile di Carpi. Da quando gli è stata affidata questa piccola comunità – presso cui è cresciuto – ha posto una particolare cura nel visitare personalmente gli anziani e gli ammalati.
“Mi sembra che la benedizione alle famiglie e la visita agli anziani e agli ammalati siano anzitutto un atto di culto e poi un atto di umanità – afferma don Truzzi – . Per ‘atto di culto’ intendo un gesto in cui si pratica la religione, atto peraltro al cui interno certo non può mancare la fede. Effettivamente è un atto legato pubblicamente alla comunità dei credenti e caratterizzante. Pertanto spetta anzitutto al pastore della comunità, per quanto è possibile. Non voglio dire che il Signore, nella sua libertà, elargisca meno doni attraverso chi è mandato dal parroco. Ma il parroco si farà sostituire il meno possibile, lasciando le molte cose che spesso, di questi tempi, lo agitano e lo preoccupano alla periferia della sua missione specifica. Mi pare che anche il popolo dei cristiani laici percepisca queste sfumature. In un tempo di allentamento dei legami dei singoli cristiani con la comunità ecclesiale non è da sottovalutare il peso dell’intervento del parroco in persona”.
Don Carlo, può raccontarci come si svolgono solitamente questi incontri con gli anziani e gli ammalati nelle loro case? Sono coinvolti, naturalmente, anche i loro familiari…
L’incontro richiede un certo tempo. Dopo un primo saluto, comunemente segue il mio “insediamento”, premessa di una conversazione distesa dove non mancano mai il tema della salute, delle novità del paese, di ricordi del passato e di altri argomenti vari. Nel flusso della conversazione a un certo punto entra il discorso religioso vero e proprio, che si svolge a diversi livelli secondo le persone. La domanda se la persona prega è strategica. La visita, nella fascia delle ore 10.30-11.30 e 16-18,30, richiede sempre un certo tempo. Spesso si prende un caffè. C’è un andamento più veloce e particolare in caso di malattia grave. Quando si avvicina la fine non c’è più tanto spazio per le parole. Dopo un funerale la visita alla famiglia mi sembra davvero doverosa. Lascio passare cinque-sette giorni dalla sepoltura, per permettere che la caligine del lutto si diradi un po’ nella mente dei congiunti più stretti, spesso disturbati anche dalle incombenze burocratiche. Diverso dalla visita agli anziani o malati è il caso della Comunione a domicilio, con cadenza settimanale o delle grandi feste. Faccio in un tempo più breve.
Quali sono, in base alla sua esperienza a diretto contatto con questi fratelli e sorelle, i bisogni maggiori avvertiti dagli anziani nella società di oggi? In che modo la loro presenza – in crescita numerica visto il calo delle nascite – interpella la comunità cristiana?
Le persone hanno bisogno di parlare, di sentirsi ricordate dalla Chiesa, di essere ascoltate personalmente, di essere sostenute e confortate nei loro problemi. Solo poche volte chiedono spiegazioni dottrinali. La comunità si aspetta che il parroco si occupi degli anziani. Nelle parrocchie più grandi il parroco dovrebbe avere almeno un gruppo di anziani di “sua competenza”. Oltre l’opera del prete e degli altri ministri, è bello anche vedere che vari anziani si sostengono a vicenda con telefonate, gioco a carte e altro.
Lei ha, per così dire, non poche primavere sulle spalle. Com’è vivere questo ministero della visita agli anziani da loro “coetaneo” o comunque non molto distante per età? Condivide qualche aspetto con loro? Ne ha tratto un arricchimento a livello umano e di fede?
La comune età anziana con il parroco facilita l’intesa, avendo vari argomenti di comune interesse. Il modo nel quale i vecchi portano i pesi della tarda età mi incoraggia o deprime secondo i casi, come è facile immaginare.
Può raccontarci, in sintesi, qualche aneddoto, serio ma anche simpatico, di incontro e di dialogo con le persone a cui fa visita?
Varie volte, quando passo vicino a case dove abitavano anziani ora morti, dico un “requiem”. I ricordi più belli son quelli legati al dono del perdono di Dio nella confessione per fardelli nascosti, che la persona potava da tanto tempo. Intuivo in quelle circostanze una gioia che cambia davvero la vita. Un ricordo simpatico: un vecchietto ultracentenario, che aveva i figli molto lontani e in casa solo una colf piuttosto bisbetica, non si confessava da oltre settant’anni. Dopo vari incontri si decise a fare il passo. Fu un rito piuttosto breve e, ovviamente, liberante. Un altro anziano accettava la benedizione della casa in presenza della moglie, però personalmente non pregava con lei e me. Rimasto vedovo e solo, invitato da me mentre mi trovavo a casa sua, non voleva pregare. Dopo varie volte mi concesse di pregare mentre lui stava in silenzio. Non si potè fare un passo ulteriore, perché morì improvvisamente. Un ricordo toccante è quello di una catechista, da me assistita, che ha tenuto il catechismo in casa ai bambini del suo gruppo l’ultima settimana di vita, in cui ricevette da me l’unzione degli infermi. Secondo me l’accoglienza di questo sacramento, cioè l’unzione degli infermi, sta aumentando da quando è stato evidenziato il suo scopo di rinforzo. Il sacramento della penitenza invece è in forte declino, perché è molto evaporato il senso del peccato e in particolare la relazione del peccato con Dio.