Misure di supporto per le vittime di violenza
“Lo sportello di Notizie”: l’avvocato civilista Cristina Muzzioli interviene su questioni inerenti il vivere quotidiano
Nelle storie di donne soggette a maltrattamenti e violenza, gli aspetti riguardanti l’autonomia economica costituiscono, tra gli altri, un elemento importante da non sottovalutare. Il denaro, infatti, è libertà e può dare la possibilità di fare scelte e di avere la libertà di pensiero e materiale per allontanarsi dal soggetto maltrattante. In questo contesto il lavoro è un primo elemento di autonomia e libertà per le donne in quanto, se non si dipende economicamente dal soggetto maltrattante, è più facile per la donna pensare a una realtà alternativa per sé e per i figli se presenti.
In questo articolo cercheremo di analizzare gli elementi a supporto dell’autonomia materiale delle donne vittime di violenza o soggette a maltrattamenti nella consapevolezza che l’aspetto economico costituisce il tassello di un ben più complicato quadro. Un primo gruppo di strumenti è dato dall’assegno di mantenimento in sede di separazione o divorzio. Qualora si metta fine a un matrimonio o a una convivenza di fatto i figli sono sempre da mantenere e pertanto nelle rispettive sentenze potrà essere previsto un assegno a loro favore da versare al genitore con cui i minori abitano.
Inoltre, in caso di matrimonio, può essere previsto un assegno di mantenimento anche a favore del coniuge economicamente più debole che non lavori o che abbia entrate minori. Queste misure implicano l’avvio delle procedure di separazione o un intervento del tribunale a favore dei figli a seguito della cessazione della convivenza di fatto tra i genitori. Nessuna delle due iniziative è istantanea, ma prevede una scelta consapevole in sede di avvio e un percorso giudiziario con durate ed esiti diversi a seconda dei casi. Ulteriori misure sono state previste dal legislatore a favore delle vittime di violenza che intraprendono un cammino di uscita dalla violenza attraverso i Centri antiviolenza riconosciuti che prevede la possibilità di fruire del congedo dal lavoro per violenza per le lavoratrici o del reddito di libertà per chi si trova in condizioni di difficoltà economiche.
Il reddito di libertà è un sussidio economico mensile riconosciuto per massimo un anno alle donne vittime di violenza istituito per garantire e favorire l’indipendenza economica, l’emancipazione e dei percorsi di autonomia per le donne vittime di violenza che si trovano in condizioni di povertà. Può essere richiesto dalle donne vittime di violenza, sole o con figli minori a carico, già seguite dai centri anti violenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali locali.
Le destinatarie devono avere i seguenti requisiti: – essere residenti nel territorio italiano; – essere cittadine italiane o comunitarie o, in caso di cittadine di Stato extracomunitario, in possesso di regolare permesso di soggiorno; – aver intrapreso un percorso di fuoriuscita della violenza presso i centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali; – trovarsi in una particolare condizione di povertà e di vulnerabilità, nonché di “urgenza e di bisogno” che deve essere dichiarata e certificata dal servizio sociale professionale di riferimento territoriale che si sta occupando della donna interessata.
Questa misura non è ancora diventata permanete ma deve essere rifinanziata ogni anno. Per quanto riguarda il congedo dal lavoro in caso di violenza l’articolo 24, decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, prevede che le lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato e le lavoratrici con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, possano avvalersi di un’astensione dal lavoro per un periodo massimo di 90 giorni nell’arco temporale di tre anni.
Per fruire del congedo e dell’indennità occorre essere una lavoratrice dipendente, con rapporto di lavoro in corso di svolgimento, inserita nei percorsi certificati dai servizi sociali del comune di appartenenza, dai centri antiviolenza o dalle Case Rifugio. Il congedo indennizzato può essere utilizzato per un periodo massimo di tre mesi (equivalenti a 90 giorni di astensione effettiva dall’attività lavorativa) entro tre anni dalla data di inizio del percorso di protezione certificato.
Il congedo si può utilizzare per le giornate nelle quali è previsto lo svolgimento della prestazione lavorativa. Non spetta quindi nei giorni non lavorativi (quali ad esempio giorni festivi, periodi di sospensione dell’attività lavorativa o periodi di aspettativa) e nei giorni successivi alla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il congedo può essere fruito in modalità giornaliera o oraria. I contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere l’una o l’altra modalità.
Per le giornate di congedo utilizzate per svolgere i percorsi di protezione è corrisposta un’indennità giornaliera pari al 100% dell’ultima retribuzione. Questa è calcolata prendendo a riferimento le voci fisse e continuative della retribuzione media giornaliera del periodo di paga mensile o quadri settimanale scaduto e immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo.
In caso di fruizione oraria, l’indennità è pagata in misura pari alla metà dell’indennità giornaliera sopra indicata. È, invece, pagata direttamente dall’INPS con bonifico postale o accredito su conto corrente bancario o postale a: – lavoratrici stagionali; – operaie agricole (salva la facoltà di anticipazione dell’indennità, da parte del datore di lavoro, in favore delle operaie agricole a tempo indeterminato); – lavoratrici dello spettacolo saltuarie o a termine; – lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti).
Per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata è riconosciuto solo il diritto alla sospensione del rapporto di collaborazione a cui non corrisponde alcun diritto al pagamento dell’indennità. Entrambi gli istituti vanno nella giusta direzione di dare autonomia e supporto a chi intraprende il difficile cammino di uscita dalla violenza, ma i numeri di applicazione concreta di entrambi gli istituti restano molto bassi e pertanto ci sono ampi margini di miglioramento.