Intervista a Sergio Rubin
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale
Sergio Rubin, superospite di questo appuntamento di Culturalmente, è giornalista esperto di temi religiosi del quotidiano Clarín di Buenos Aires. Nella sua carriera ha intervistato, tra gli altri, Madre Teresa di Calcutta e ha seguito i viaggi di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.
È attualmente in libreria con “Non sei solo” (Salani Editore). Il libro non lo ha firmato da solo: oltre alla sua penna c’è anche quella di Papa Francesco e Francesca Ambrogetti, giornalista e psicologa sociale, ex responsabile dell’Ansa in Argentina, coautrice con Sergio Rubin della prima biografia di Bergoglio: “Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta”.
Ha intervistato personaggi come Madre Teresa di Calcutta, Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI. Cosa hanno in comune questi pilastri del mondo cattolico, oltre alla fede?
Penso che queste siano figure con una grande personalità. Ognuno con le sue peculiarità. Quando intervistai Madre Teresa non era ancora vincitrice del Premio Nobel (lo sarebbe stata due mesi dopo) e la conoscevo appena. Mi hanno colpito le sue risposte brevi ma molto profonde. E il suo sguardo dimostrava grande attenzione verso l’interlocutore. Allo stesso tempo, non trascurò il lavoro dell’asilo nido della sua congregazione in un quartiere povero, dove abbiamo parlato. Sono partito sapendo di aver parlato con una persona di grande spiritualità e di impegno concreto verso gli altri. Inoltre ho seguito decine di viaggi di Giovanni Paolo II a partire dal primo, in Messico. Aveva un carisma travolgente e folle elettrizzate. Ha portato il Vangelo in tutto il mondo. Non a caso lo chiamavano “il Papa pellegrino”. Quanto a Francesco, mi ha sempre colpito la sua grande umanità. Inoltre, i suoi sermoni mi interessano molto. A volte penso che Giovanni Paolo II è entrato in dialogo con le folle e Francesco con ogni persona. Sono pontefi ci con caratteristiche per ogni momento della storia della Chiesa e del mondo.
Papa Francesco è il simbolo dell’umiltà. È questo ciò che ti distingue dai tuoi predecessori?
Ogni pontefice ha le sue caratteristiche. Oppure condivide caratteristiche più o meno accentuate con i suoi predecessori. Jorge Bergoglio si è sempre caratterizzato, diciamo così, per un “basso profilo”. Ma mostra anche una grande austerità e l’eliminazione di ogni sfarzo. Inoltre mostra apertura verso tutti perché crede che nella Chiesa debba esserci posto per tutti. Alla fine, la misericordia di Dio risalta sempre.
“Non sei solo” è il titolo del libro, ma anche un messaggio. Assume un significato più importante dopo il periodo pandemico?
“Vicinanza” è la parola che [Papa Francesco, n.d.r.] usa di più per definire il suo atteggiamento. Cioè stare con gli altri con un modo di fare affettuoso e disponibile. Nella pandemia ha sottolineato che “nessuno si salva da solo”, in contrasto con un mondo sempre più individualista. Lo scoppio del covid ci ha messo in discussione sul se fossimo disposti a mettere da parte il nostro egoismo e aiutarci a vicenda. Perché, come diceva Francesco, da una crisi non si esce uguali, ma migliori o peggiori. Quindi sì: “Non sei solo” ha assunto un significato più grande.
Come esperto di comunicazione, come descriverebbe il linguaggio di Papa Francesco?
È soprattutto un linguaggio gestuale accompagnato da parole semplici che tutti comprendono. In tempi di “ipercomunicazione” e di molta immagine, Francesco si sintonizza meglio, senza cadere nella volgarità o tradire il messaggio religioso. E adottando sempre un atteggiamento dialogico che implica il non imporsi e l’ascolto attento dell’altro. Secondo me la conversazione che ha avuto con una decina di giovani per una piattaforma televisiva è stata davvero rivoluzionaria per quanto riguarda la comunicazione di un pontefice. Da duemila anni la Chiesa ha un messaggio contenuto nei Vangeli. La chiave è come presentarlo a nuove sensibilità. Francesco sta cercando di rispondere a questa sfida.