Intervista a don Paolo Alliata
Culturalmente, una rubrica di Francesco Natale
Il protagonista di questo nuovo appuntamento di CulturalMente è don Paolo Alliata, sacerdote della Diocesi di Milano e autore di vari libri. L’ultimo, “L’amore fa i miracoli” (Ponte alle Grazie), conduce il lettore tra le pagine di grandi capolavori della letteratura alla scoperta dell’amore.
Il suo libro va alla ricerca dell’amore nella letteratura. Una ricerca, questa, dai molti risultati. Perché in così tanti hanno scritto dell’amore?
L’amore è una dimensione fondamentale dell’avventura umana. Come scriveva Bauman, non c’è nulla di cui abbiamo tanto bisogno e nulla di cui abbiamo tanta paura come dell’amore. Bisogno perché ci rende vivi, paura perché ci rende vulnerabili. La grande letteratura è da sempre impegnata ad esplorare il mistero del cuore umano, e quindi anche dell’amore nelle sue varie espressioni e fisionomie. Chiunque si misuri con il mistero umano si confronterà con questo tema.
Parlare d’amore quando tutto il mondo parla di guerra è rivoluzionario?
Tutto il mondo parla di guerra come anche dell’amore, non smettiamo mai di parlarne, in effetti. Mi viene in mente una intervista della scrittrice russa Svetlana Aleksievic: le persone – dice – parlano sempre di eventi come la guerra o Černobyl’, ma raramente parlano di felicità. “Ho iniziato a sospettare che le persone non parlino delle cose che contano davvero nella vita”. E così mette a fuoco proprio l’importanza di sviluppare un linguaggio dell’amore, per raccontarlo, definirlo nelle sue espressioni, tanto più che la letteratura russa – continua – è stata incapace di aiutare le persone perché si è sempre occupata di altri temi, di idee elevate, pronte a soverchiare la vita degli uomini, come qualunque idea di ordine superiore. E allora ha pensato che fosse l’amore l’aspetto più importante ed essenziale. E lo ha raccontato nelle sue sfumature. Non so dire se chi impegna energie per raccontare la gioia e il travaglio della vita nell’amore, nell’amicizia e nelle varie declinazioni della vita amorosa, sia per ciò stesso un rivoluzionario nel nostro mondo. Ma certo ci fa del bene.
Si sente molto dire che alcuni amori sono sbagliati, penso alle cosiddette relazioni tossiche, ma l’amore può essere sbagliato?
Occorre, credo, intendersi una volta di più sull’uso dei termini. L’amore è quella forma di respiro dell’intimità personale che vuole accompagnare ognuno a radicarsi nella vita e a maturare al meglio di sé stessi, così da portare frutto. Se per “amore” intendo però quel modo di stare al mondo, per cui mi appoggio ad un altro perché mi risolva il problema di vivere, mi sciolga l’angoscia della solitudine, è “tossica” anzitutto la mia pretesa. Nel romanzo di John Williams, “Stoner”, trovo una meravigliosa definizione dell’amore: “A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra”. Mi pare proprio vero. Amare richiede pazienza e delicatezza, impegno e capacità di ascolto, dell’altro e di sé stessi. E disponibilità ad imparare un po’ per volta dai propri errori… D’altra parte, tutte le cose grandi le impariamo solo così, andando per tentativi e un po’ per volta.
Il titolo del suo libro è “L’amore fa i miracoli”. Qual è il miracolo che ha fatto a lei l’amore?
Sul letto di morte mia mamma mi ha detto: “Paolo, al mio funerale parla della gioia, solo della gioia. Ringrazia tutti per avermi insegnato le tante modalità dell’amore: la gratitudine, la gioia, il coraggio…” Mia mamma è stato il primo segno dell’amore nella mia vita, di cui sarò sempre grato, consapevole del dono che è stato per la mia crescita. E poi l’amicizia di alcuni uomini e donne: la loro presenza mi ha aperto orizzonti nuovi, mi ha aiutato a sciogliere alcuni nodi di insicurezza e rigidezza su cui avevo bisogno di lavorare, un impegno che non è ancora finito.