L’elezione del Presidente Usa una incognita che inquieta e che ci tocca molto da vicino
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Ah, semo a posto, avrebbe detto mio padre, contadino, asciutto di parole ma attento osservatore. Il fatto è che nessuno, dotato di medio interesse per ciò che accade nel mondo, può restare indifferente davanti a quello che accadrà negli Usa, a fine anno. Il 5 novembre prossimo, gli Usa, con i loro 336 milioni di abitanti, saranno chiamati a votare, per la 60ma volta nella storia, il loro Presidente. Sappiamo bene che la diversità di risultato non è un problema soltanto loro, con buona pace degli indifferenti alla politica. Ciò che succede da quelle parti è cosa anche di casa nostra, oltre che del mondo intero.
Dietro al risultato si profila, infatti, una diversa gestione della guerra in Ucraina, dei difficili rapporti con la Cina e il problema di Taiwan, del la Corea del Nord, la tenuta della Nato, il drammatico confronto tra Israele e Palestina e tutta la polveriera mediorientale, la regolamentazione dei rapporti commerciali con l’Europa, la questione ambientale e tanto altro. Un tempo si credeva che la democrazia, garantendo benessere e diritti, avrebbe portato automaticamente alla pace. Oggi abbiamo scoperto che non è più così. Le guerre sono dietro l’angolo ed anche le stesse democrazie sembrano scricchiolare in mano a politici politicanti. Ma tornando alle inquietudini di mio padre, perché dovremmo essere in fibrillazione, pensando alle prossime elezioni americane? La risposta sta tutta nel profilo dei due candidati che si contenderanno la vittoria.
Da una parte Joe Biden, presidente in carica, che proprio a novembre compirà 82 anni. Nei giorni scorsi, il suo ministro di Giustizia ha commissionato al procuratore Robert Hur (sponsor degli avversari repubblicani), un’indagine di 345 pagine sulla situazione pre-elettorale, facendolo pubblicare integralmente, comprese le pagine in cui si parla dello stato di salute del Presidente attuale, definendolo “uomo di buone intenzioni, ma di scarsa memoria”. Che Biden tradisca il peso degli anni non è notizia di questi giorni. Le sue ripetute cadute in pubblico denunciano comunque la pesantezza dell’anagrafe. Così come i suoi vuoti di memoria e gli scivoloni diplomatici legati ad un fisico che sta pagando il dazio dell’usura. È rimasto clamoroso l’episodio dell’incontro con Camilla d’Inghilterra, non ancora in odore da regina, che denunciò invece ai giornalisti quello delle flatulenze del presidente, dalle guarnizioni a scarsa tenuta.
La vicenda, nel suo umano e patetico ridicolo, sta accompagnando Biden come una controfigura, nell’esultanza dei social ovviamente. Se Biden paga lo scotto dell’anagrafe, con Trump forse andiamo oltre. Anche per lui gli anni, benché siano 5 in meno, stanno rivelando qualche crepa. Recentemente ha ripetutamente confuso l’Ungheria con la Turchia, definendo Orban, presidente turco. Ancora, parlando di Ungheria l’ha collocata confinante con la Russia. Più volte ha confuso la signora Haley, sua con corrente alla nomination repubblicana, con Nancy Pelosi dei democratici. Recentemente ha detto che, una volta eletto, farà la più grande deportazione di immigrati della storia e, proprio qualche giorno fa, ha dichiarato che se qualche Paese Nato europeo dovesse essere aggredito militarmente, qualora non fosse in regola con il pagamento delle quote associative, lascerebbe all’aggressore la libertà di procedere a suo piacimento. Tutto questo “To make America great again”, per far l’America di nuovo grande. Ah, semo a posto, direbbe mio padre.