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In punta di spillo
Pubblicato il Febbraio 21, 2024

I danni causati dai social non si rimediano multando i loro proprietari

In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani

Nei giorni scorsi è circolata una notizia che, in un primo momento, ho pensato si trattasse di una bufala, salvo poi verificare che si trattava, in realtà, di notizia assolutamente vera. Veniva dagli Usa, da New York per l’esattezza, dove il sindaco della città ha citato in giudizio i social più importanti, da Facebook a Instagram, da Tik Tok a Youtube, chiedendo loro un indennizzo di cento milioni di dollari per i gravi danni causati sui bambini e gli adolescenti. Più precisamente, nella denuncia si fa riferimento ai danni psichici subiti dai ragazzi, causati dai social che «hanno incrementato una crisi mentale a livelli che non si erano mai visti, esponendoli a un flusso continuo di contenuti dannosi».

Era ora, verrebbe da dire. Senza contare che questo grido d’allarme è da anni che la Chiesa, inascoltata e compatita, lo aveva fatto proprio, chiedendo di mettere delle regole per arginare i possibili danni derivanti da un uso incontrollato dei social. E, invece, niente. Ora, a parlare degli effetti devastanti, sono medici, psicologi, psichiatri, sociologi… che, dati alla mano, sono lì a descriverci le varie psicosi e patologie che stanno fiorendo nella testa delle nuove generazioni. Se molta informazione ha riportato, con un certo apprezzamento, la denuncia e la richiesta di danni, da parte dell’intraprendente sindaco, io, a costo di essere frainteso, dirò che trovo tutto questo una grande ipocrisia. Siamo alla prassi, ultimamente molto praticata, di scaricare le responsabilità sempre di fianco.

Se i social hanno le loro indubbie colpe, cosa dovremmo dire delle famiglie dei ragazzi, a cominciare dai più giovani sotto i 16 anni, che, per il 94% usano abitualmente computer, tablet, cellulare il quale, nel 53% dei casi, è stato comprato loro prima degli undici anni, spesso come regalo di Prima Comunione? Che dire dei genitori che ai bambini, già a partire da un anno e mezzo, due, per tranquillizzarli quando piangono, mettono loro in mano lo smartphone? O che vanno a tavola con i figli, ognuno col proprio telefono, a farsi gli affari propri mentre mangiano? E che dire della scuola che non ha mai introdotto l’educazione ai media, quasi fosse un problema culturale che non la riguardava? Chiediamo i danni anche al Ministero della Pubblica Istruzione? Penso, infine, alla politica che si accorge del disastro, quando ormai i buoi sono scappati dalla stalla. Non è da ieri che, da più parti, si invocava qualche legge, che controllasse e limitasse il diffondersi della pornografia, della pedopornografi a e di tutto quanto poteva devastare la coscienza dei ragazzi. Ora vogliono farci credere che è arrivato il momento giusto ma, ascoltando i dibattiti televisivi, avete l’impressione che a qualche politico gliene importi qualcosa? Avete mai sentito qualcuno di loro che abbia alzato la voce per denunciare i danni derivanti dai social? Sono altri i temi da portare in piazza, per avere rendita di posizione in saccoccia.

Ora è troppo facile e ipocrita scaricare il problema sui proprietari dei mezzi. Per coerenza si potrebbe allora aprire la strada per chiedere i danni ai produttori di alcolici, visto che i ragazzi si ubriacano. Alle case automobilistiche perché fanno auto troppo veloci, con cui i giovani vanno a sfracellarsi. E, già che ci siamo, fare causa anche allo Stato, con i suoi monopoli, per via del fumo che non mi risulta sia un toccasana per la salute.

Non so quale esito avrà tutto questo. La speranza è che serva a risvegliare le coscienze di tutti, prendendosi ognuno le proprie responsabilità. Quanto a rifarsi sui proprietari dei mezzi a me, per dirla con Gino Cogliandro, “me pare ‘na str…ata”.

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