Centenario della nascita di Giuliano Benassi, il “martire poeta”
Ricorre il 23 marzo il centenario della nascita di Giuliano Benassi, nativo di Carpi, studente e poeta, partigiano cattolico morto nel lager di Oelsen il 27 aprile 1945
Ricorre il 23 marzo il centenario della nascita di Giuliano Benassi, nativo di Carpi, studente e poeta, partigiano cattolico morto nel lager di Oelsen il 27 aprile 1945. Per ricordare questa figura eroica della Resistenza, testimone di valori altissimi, fino al sacrificio della propria vita, riportiamo di seguito alcune note biografiche, insieme al testo di un suo componimento poetico scritto nella Pasqua del 1944 dal carcere di San Vittore.
di Andrea Beltrami
Giuliano Benassi nacque a Carpi il 23 marzo 1924, ultimo di sette figli. Il padre, Tommaso, era stato eletto nel “Listone nazionale” nel 1924, ma all’indomani del delitto Matteotti si era dimesso da deputato. Giuliano frequenta le scuole elementari nella città natale, poi a Bologna, dove la famiglia si era trasferita, diplomandosi al liceo “Galvani”, nel 1943. Studente all’Università di Bologna, inizia a collaborare con la Resistenza emiliana raggiungendo i partigiani di una formazione di “Giustizia e Libertà”. Dopo un periodo di esperienza sull’Appennino, il nostro offre la sua collaborazione al partigianato lombardo e a Milano fu sorpreso dalla polizia fascista e trattenuto a San Vittore. Ebbe una resistenza tale alle torture e agli interrogatori che venne rilasciato. Trasferitosi a Padova, entra in relazione con il professor Egidio Meneghetti. Benassi accetta una delicata missione e viene incaricato di consegnare agli alleati, che lo attendevano al largo di Chioggia, documenti contenenti importanti informazioni militari; Giuliano si attiva con una barca ma non riesce a completare l’operazione decide di ritornare a terra, trovando i nazifascisti che lo aspettano per arrestarlo nuovamente. Rinchiuso nel carcere di Verona Benassi resistette all’estorsione della confessione, praticata con ogni mezzo dai carnefici, ma non venne rilasciato. Mantenne tuttavia il segreto salvando i compagni di battaglia. Deportato il 20 dicembre 1944 nel campo di concentramento di Bolzano, dopo un mese fu trasferito in Sassonia e poi nel lager di Oelsen, dove morì il 27 aprile 1945, a soli 21 anni, quando ormai l’Italia era stata liberata.
Gli è stata conferita la medaglia d’argento al valor militare alla memoria. Oltre a vie e piazze a lui dedicate, Francesco Berti Arnoaldi, che fu compagno di scuola di Giuliano ed anche partigiano assieme a lui, ha scritto il volume “Viaggio con l’amico. Morte e vita di Giuliano Benassi” che fu presentato a Carpi. Presso la sala congressi, il 26 febbraio 1991 con la partecipazione di Mino Martinazzoli. Un evento importante per la città, che non dimenticava il martire a cui aveva dato i natali. Per iniziativa di Alberto Lodi, su disegno di Romano Pelloni, è stata editata una medaglia commemorativa che riproduce il volto di Giuliano Benassi nel recto, mentre nel verso è riprodotto il nostro mentre viene torturato con la scritta “per tutti coloro che dovranno sapere anche quando la nostra generazione sarà passata” interpretando le parole dell’amico del martire, Francesco Berti. Per ricordare questa bella figura di martire cattolico, riportiamo una poesia scritta da Benassi nella Pasqua del 1944 dal carcere di San Vittore. I versi sono contraddistinti da una moralità di spirito, da una integrità morale e colmi di una fede autentica nella quale viene riposta ogni speranza; dalle parole emerge la sensibilità di Giuliano verso il prossimo e la gioia rinnovata della Resurrezione, nonostante sia vissuta all’interno del carcere. Non mancano i riferimenti ai genitori che sono in Cielo, in quella Patria presto raggiunta anche dal poeta.
Urlava il vento quella notte/ di tra le forti sbarre della cella/urlava lamentoso per le rotte/ vetrate, e il freddo raggio di una stella/ mi batteva sul volto, e s’udia fuori/ il passo grave di una sentinella./ Sul nudo tavolaccio tra i dolori/ del corpo affannato, insonne ripensavo/ al livido accanirsi dei furori/ degli aguzzini e a tratti m’agitavo/ pel subito ricordo del bastone/ che s’abbatteva sul mio corpo schiavo/ incatenato al gancio dell’arpione./ Era la Pasqua di resurrezione./ Mi destò lo squillar delle campane/ che inondava gioioso la prigione./ Ma quell’allegre, dolci voci arcane/ suonavan tristi nelle nude stanze/ parlavan di cose ormai lontane…/ parlavan di ricordi, di speranze,/ di affetti, di sogni … e del più bello/ fra tutti i giorni delle mie vacanze;/ si tornava in campagna, e dal cancello/ la nostra Mamma incontro ci correva/ e ci abbracciava, e il grave suo fardello/ di angosce e di dolori deponeva/ in quel giorno felice e a rallegrare/ i sette suoi figli, lieta, sorrideva./ ora è in Cielo, col Babbo a riposare./ Si compie il sacrificio sull’altare./ Dalle celle, sull’uscio, i carcerati/ pallidi, muti, stanno a riguardare./ son tanti cuori avidi, bruciati/ da un unico ricordo odioso, atroce…/ Fratelli, il sacerdote li ha chiamati!/. Io trasognavo, udivo quella voce:/ “perdonate, fratelli, ricordate/ che il più Buono di tutti è morto in croce”./ E le ginocchia si son piegate/ ed io ho pregato, e le mie guance allora/ da lagrime roventi fur solcate./ Oh avevo pianto, sì, prima d’allora/ sotto la sferza al sanguinoso insulto/ tutta la notte piansi, ed all’aurora/ tremavo per l’orrore all’inconsulto/ spavento di soccombere al dolore./ Ma non quello era pianto, era un singulto/ di lagrime cadenti dentro al cuore/ a scavarvi terribili e brucianti/ solchi d’angoscia, d’odio, di furore./ Ora cadevan dolci, consolanti/ ed era gioia il pianto, era bisogno/ di perdonare e piangere davanti/ al Giusto morto in croce: era bisogno/ di salir più in alto. E dalla carne affranta/ leggiera volò via l’ala del sogno./ E Cristo scese in me nell’Ostia santa//.