La
In punta di spillo
Pubblicato il Aprile 10, 2024

La Sanità pubblica in crisi non ha bisogno soltanto di più contributi economici

In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani

Mi ha fatto un’enorme impressione l’appello di quattordici scienziati italiani sulla necessità di intervenire con urgenza sul Servizio Sanitario Nazionale, prima che la situazione degeneri, privando i cittadini di assistenza, oppure obbligandoli a pagarsi le spese sulla salute. Lo stesso come dire che, chi ha soldi avrà diritto a vivere, lasciando i poveri al loro destino, come succede in altre parti del mondo. Eppure la Sanità italiana è stata, per alcuni decenni, un fiore all’occhiello in ambito internazionale. Basterà ricordare che dal 1978, anno della sua fondazione fino al 2019, ha contribuito a incrementare l’aspettativa di vita, portandola da 73,8 a 83,6 anni.

Ora questi scienziati sono a ricordarci la deriva verso la quale stiamo andando, invocando maggiori investimenti da parte dello Stato, per ovviare a strutture fatiscenti (la maggior parte degli ospedali risulta assolutamente inadeguata), e ai problemi legati al sovraccarico di lavoro del personale sanitario. Oggi alcune prestazioni richiedono anni di attesa, non giorni o mesi, a meno di non fare ricorso al privato, mentre medici e personale infermieristico sono obbligati a una mole di lavoro non più sostenibile. Per il 2025 l’investimento per la Sanità sarà del 6,2%, meno di vent’anni fa, a fronte di scenari nuovi che richiederebbero invece sostanziali incrementi. Penso ai costi legati all’evoluzione tecnologica, ai mutamenti demografici (tra 25 anni, due italiani su cinque avranno più di 65 anni con l’evidente maggiorazione di servizi richiesti alla Sanità pubblica).

Penso alle nuove e sconosciute malattie che richiedono investimenti di ricerca e interventi straordinari (basti ricordare quale peso ha avuto sulla Sanità la recente pandemia di Covid). I rischi sociali di tutto questo rischiano di portarci su scenari drammatici, benché prevedibili. Ora l’appello degli scienziati, che tutti i cittadini italiani dovrebbero fare proprio, parla dell’urgenza di destinare maggiori fondi in questo ambito. Condizione indispensabile alla quale, da cittadino senza alcuna competenza in materia, mi permetto di aggiungere alcune considerazioni personali.

La prima riguarda la classe politica. Mi chiedo quanta “passione” sia rimasta nei nostri parlamentari verso questa realtà. A parte qualche slogan, in chiave di opposizione al governo, quanto è presente nel dibattito politico la priorità di questa emergenza? Quanto il problema viene suscitato nei mezzi di informazione, a cominciare dal servizio pubblico, obbligando i politici a farsene carico, almeno alla stessa stregua di quanto si fa per gli immigrati e per il riarmo, dando voce a chi soffre, notoriamente i più fragili nel panorama sociale? Un secondo scenario mi porta a pensare ai dirigenti che operano in ambito sanitario. Se è vero che ci sono molte eccellenze, che non consentono di generalizzare, è altrettanto vero che, da tempo, la loro cooptazione da parte dei partiti politici non sempre ha messo in campo il meglio.

Il merito di portare più voti non sempre corrisponde al meglio delle competenze e questo vale per loro come per i primariati. Penso che la politica, che entra nelle corsie, sia un cancro inguaribile per la Sanità. Se un ricovero medio in ospedali privati costa allo Stato 4050 Euro, a fronte degli 8000 in quello pubblico, questo potrebbe nascondere anche qualche problema di gestione. Resta aperto il problema del personale, cominciando dagli infermieri, oggi preparatissimi mini dottori, ma con scarsa autonomia operativa. Uno snellimento anche in questo ambito potrebbe rivelarsi utile per migliorare la già precaria situazione.

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