La spiritualità nella malattia
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
Un numero elevato di persone non frequenta la chiesa o il tempio o la moschea o la pagoda ma possiede una ricca spiritualità. Già questo ci dice che c’è differenza tra spiritualità e religiosità. Appartenere ad una tradizione religiosa è il frutto di una cultura, infatti, molto probabilmente se nasci in Europa sarai cristiano, in Thailandia buddista o in India induista e così via. La spiritualità, invece, non è mediata dalla cultura ma appartiene in modo unico e irripetibile alla persona, ha radici autobiografiche, è la capacità di rispondere alla vita, alle persone, a darsi delle risposte sui grandi quesiti antropologici. “Per dimensione spirituale non si intende solo l’aspetto religioso confessionale ma bensì i più ampi ambiti di valori e convinzioni profonde che compongono la complessità della spiritualità umana” (SICP, società italiana di cure palliative, 2007). La spiritualità, quindi, è la ricerca di senso iscritta nell’uomo, attraverso quei valori e quelle convinzioni che sono specifiche di ogni persona.
Questo è anteriore ad ogni esperienza “religiosa”, che è parte della dimensione spirituale. All’interno di questa spiritualità umana e universale, prevalgono ed emergono dei valori come la libertà, il bene, l’amore, l’equilibrio, la gratitudine…quindi la spiritualità è quella parte profonda dell’uomo che dà un’impronta alla sua vita e al rapporto con gli altri. Nel momento della malattia e della morte è possibile che la dimensione spirituale emerga in modo più intenso e urgente sotto forma di domande di senso, rabbia, smarrimento e tensione. Per alcuni si fa più franco e deciso l’aspetto religioso, per altri la spiritualità viene concettualizzata e vissuta in modi non religiosi percependo che la loro vita ha un significato e uno scopo e questo sostiene il dolore e l’angoscia di perderla. Forse qualcuno si chiede perché la dimensione spirituale o religiosa emerga in modo preponderante nella malattia e nell’avvicinarsi dell’evento morte e la risposta, almeno per due autori come Luciano Manicardi ed Enzo Bianchi, sta nel fatto che l’esperienza spirituale è essenzialmente un’esperienza corporea, anche nella dimensione cristiana. Dio incontra l’uomo nel corpo; per la Bibbia il corpo è il luogo di culto e di preghiera: noi siamo il tempio di Dio (1Cor 3,16) e il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19), Quindi, nulla di ciò che è spirituale avviene senza il corpo o fuori dal corpo e a maggior ragione quando questo corpo fa sentire il suo peso e le sue ferite. Che l’uomo, e l’uomo ammalato, sia religioso o meno, di certo la spiritualità emergerà sempre e l’azione di cura deve attenzionare anche questo fragile ma importantissimo elemento.