Verso la Pasqua, Nomadelfia in Tanzania
«Avevo sete e mi avete dato da bere». Monica racconta l’impegno perché l’acqua sia accessibile a chi è nel bisogno
di Monica di Nomadelfia
Oggi parliamo dell’acqua. La conosciamo tutti l’acqua vero? Sì, si inizia al mattino a lavarsi il viso, le mamme lavano le tazze, preparano da mangiare, lavano le verdure, ci si lava le mani, si beve, si lavano i panni. Tante volte al giorno usiamo l’acqua, basta aprire il rubinetto e l’abbiamo calda o fredda. Qui in Tanzania non è così. Da quasi tre anni alcune famiglie e dei giovani di Nomadelfia, vivono a Mvimwa in una delle zone più povere ed isolate. A volte lungo la strada mi è capitato di vedere una mamma vicino a una pozzanghera, con un tegamino raccoglieva l’acqua e la metteva in un secchio. Forse la portava a casa per lavare i panni o forse per lavare i bambini, speriamo non per preparare il cibo. Lungo i fossi ho visto i bimbi bere l’acqua dove bevono anche le capre, le pecore, le mucche. Un giorno stavamo andando con la macchina nel paese vicino, Ntemba, quando abbiamo visto due bambine con un bel secchio in testa, camminavano verso la loro casa. Abbiamo fermato la macchina e abbiamo detto: “Habari” che significa “Ciao”. Poi a gesti ho chiesto se volevano un passaggio.
Sono scesa per tirare giù il secchio più grande che aveva la ragazzina di forse 11 anni. Non ce la facevo! Era pesantissimo. Alla fine ce l’ho fatta e l’ho caricato sulla macchina. Dopo ho aiutato la sorellina più piccola, il secchio era un po’ più leggero. Ho chiesto: “Cosa avete qui dentro?”. Loro hanno risposto: “Magi”, significa “acqua”. Erano state a Nomadelfia di Mvimwa a riempire i secchi e li stavano riportando a casa. Siamo arrivate fino allo stradello della loro casa, sono scese. Ho aiutato la bimba più grande a rimettersi il secchio in testa. Io non so come faceva perché era pesantissimo. Saranno stati 20 litri di acqua.