Si fa presto a dire pace. In nome di quale Dio?
Leone XIV si è presentato al mondo con l’invocazione di Cristo Risorto “Pace a voi”. Nel cuore del Papa e della Chiesa lo strazio per il prolungarsi dell’aggressione dell’Ucraina e di Gaza e per tutti i conflitti sparsi nel mondo. Non si può rimanere indifferenti, tutti siamo chiamati ad essere costruttori di pace. Per questo il vescovo Erio ha anticipato nei giorni scorsi che la pace sarà al centro delle linee pastorali del prossimo anno per le chiese carpigiana e modenese ormai unite. Abbiamo chiesto al prof. Brunetto Salvarani di inquadrare da un punto di vista biblico-teologico e di attualizzare il tema della pace così urgente ma altrettanto complesso.
di Brunetto Salvarani
Gesù e la pace, tema persino desueto, in questo nostro tempo incerto. C’è “un tempo per la guerra e un tempo per la pace”, dice Qoèlet (Qo 3,8b): e questo sembra proprio un tempo di guerra, purtroppo. Un tempo in cui il senso di Dio – inteso come percezione diffusa di una rilevanza vitale della sua presenza o assenza – si presenta, con rare eccezioni, del tutto esterno all’attuale paesaggio culturale occidentale, certamente a quello europeo. Un tempo in cui, peraltro, di Dio si straparla, intervenendo a suo nome nei contesti più improbabili (e non di rado blasfemi). Ma di quale Dio si tratta? Il Dio bendisposto a giustificare guerre sante e l’uccisione dei nemici, che compare a più riprese in libri biblici quali Giosuè e Giudici, o il Dio che si esprime per bocca del profeta Isaia, assicurando che – in un futuro imprecisato – gli uomini “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4b)? La domanda è cruciale, nell’odierna congiuntura storica: quale Dio si starebbe prendendo la rivincita (secondo la fortunata metafora ideata da Gilles Kepel) oggi? Quello utilizzato come tappabuchi per la conclamata crisi della politica mondiale nel post-1989, ambiguamente invocato dal cristiano reborn Bush jr. per giustificare al mondo benestante la sua guerra preventiva e infinita, o dal musulmano risvegliato Bin Laden per chiamare le plebi della terra a uno jihad assassino?
Quello svenduto a basso prezzo dai trafficanti del supermarket del sacro che sfruttano l’ansia postmoderna come occasione insperata per incamerare facili guadagni e intercettare depressioni, angosce e bisogni diffusi? Quello nel cui nome Giovanni Paolo II e i leader religiosi mondiali hanno pregato il 27 ottobre 1986, ospiti del Povero d’Assisi, invocando pace su un pianeta diviso e dilaniato, parallelo a quello richiamato a quattro mani nel Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune da papa Francesco e dal grande imam del Cairo al-Tayyeb, che hanno unito le loro voci “in nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera”?
Un Ufficio della fede?
Infine: non è una novità, nella storia, l’utilizzo blasfemo della Bibbia, così si sono giustificati apartheid e schiavismo, guerre sante e guerre giuste. Con la creazione di un Ufficio della fede, il presidente USA Trump s’inscrive dunque in una solida, pur perversa, tradizione, che negli ultimi anni, sulla scia della rivincita di Dio annunciata tempo fa dalla sociologia religiosa, ha subito una decisa accelerazione, sfruttando la crisi delle democrazie liberali e degli organismi di rappresentazione sovranazionale.
Fra gli esempi citabili, il ruolo delle comunità evangelicali nell’elezione del brasiliano Bolsonaro, le pulsioni integralistiche di certo ebraismo, lo jihadismo del Daesh o di Hamas. Qui, però, l’idea furbastra della strumentalizzazione cede il passo a una vera e propria trivializzazione del testo biblico, usato per ammantare scelte politiche di aura sacrale, esemplificata dall’icona fotografica accostata alla nascita dell’Ufficio.
In una parodia dell’ultima cena, Trump è seduto al centro dello studio ovale, in raccoglimento, circondato da un gruppo di personaggi benedicenti: fondatori di nuovi gruppi d’ispirazione cristiana, telepredicatori e pastori legati a movimenti di estrema destra, in cui si staglia, di bianco vestita, Paula White, capo del nuovo ufficio, colei che lo avrebbe riavvicinato al cristianesimo. Ma quale fede? Quella che segna la deriva dall’originale pietismo puritano de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Weber alla teologia della prosperità, che assicura benedizioni materiali e ricchezze per chi vi si affida, un nazionalismo lontano anni luce dal costitutivo pluralismo all’origine della società USA, fino a predicare deportazioni di migranti che ben poco rientrano nella logica del Magnificat e del vangelo.
Difficile rispondere alla domanda che ci siamo fatti sopra. In ogni caso, il quadro che ne deriva è evidente: se le chiese e il loro assetto istituzionale arrancano e battono in testa, il sacro sta bucando lo schermo, e non è sempre agevole distinguere fra messaggi sinceri, provocazioni e penose strumentalizzazioni. E guardare alla storia delle chiese o ai loro testi santi ci aiuta, ma fino a un certo punto: vi abbondano le contraddizioni, e a ogni frammento di narrazione incentrato sull’esaltazione della pace se ne potrebbe contrapporre un altro, votato alla violenza. Al Dio della mitezza si può accostare, in un impressionante corto circuito, il Dio degli eserciti e dello cherem, lo sterminio sacro, la caccia alle streghe, il rogo degli eretici e l’antigiudaismo eretto a sistema; al sollievo della tregua di Dio e a voci profetiche come quelle di Francesco d’Assisi o Erasmo da Rotterdam, le guerre infracristiane che hanno insanguinato per decenni l’Europa. Ecco perché è necessario interrogare al meglio la Bibbia, per cogliere la valenza squisitamente cristologica di una teologia per la pace, di cui abbiamo estremo bisogno. Nella consapevolezza che siamo di fronte a un argomento sì delicato e controverso, ma anche decisivo in vista di una qualsiasi credibile testimonianza cristiana al mondo attuale, nonché – appunto – di un’efficace teologia per la pace.
1- continua