Ecumenismo. Il convegno del SAE sul Concilio di Nicea
Castellucci: “unità e diversità insieme, questa è la natura della Chiesa”
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“Confessare Gesù Cristo per l’ecumene, tra Nicea e oggi”: è il tema del panel, svolto nell’ambito della 61ª sessione di formazione del Sae (Segretariato attività ecumeniche) in corso a Camaldoli, al quale hanno partecipato l’arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, mons. Erio Castellucci, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, Athenagoras Fasiolo, vescovo ausiliare della Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia, e Lothar Vogel, decano della Facoltà valdese di Teologia di Roma. Introdotti dalla presidente del Sae, Erica Sfredda, i tre relatori, partendo dalle definizioni di Nicea, hanno mostrato come l’eredità di quel Concilio è stata recepita dalle Chiese e quali implicazioni ha per la fede oggi.
Mons. Castellucci ha messo in luce come l’adozione nel linguaggio della fede della “formula homoousios”, una categoria non biblica, “apre e conferma la possibilità di integrare nel corso della storia le diverse tradizioni, culture, espressioni, perché esprimano il contenuto della fede stessa in maniera adeguata alla comprensione dei contemporanei”. Questa formula, di tradizione greca, “fissa un punto che supera questa cultura stessa, esprime la capacità della fede cristologica di intrecciarsi con le culture senza lasciarvisi ingabbiare”.
Nicea inaugura una definizione di Dio che apre al “monoteismo trinitario”, ha spiegato l’arcivescovo: “Dio cioè non è un essere solitario, autarchico, ma è in sé stesso relazione. E lo è essenzialmente, per natura, e non accidentalmente. Dio è generante e generato, è famiglia, è dialogico, rapporto di dare-ricevere; un Dio che dà si concepiva facilmente, ma un Dio ‘derivato’, ‘che riceve’, sembrava impossibile da concepire».
Da qui il presule ha tratto una conseguenza antropologica fondamentale: “Se Cristo non è un semplice uomo da imitare, e nemmeno solo un Demiurgo semidivino, ma è da sempre Figlio, noi – creati ‘in Cristo Gesù’, fatti a immagine e somiglianza di Dio, e chi vede Cristo vede il Padre – siamo fatti per la relazione”. Questo ha un riflesso anche sull’identità cristiana che “non è monolitica, ma relazionale” e sull’identità ecclesiale. “Unità e diversità insieme: questa è la natura della Chiesa. Di qui anche l’impegno sociale e politico, che le Chiese continuano a portare avanti insieme”. È la vocazione pubblica del cristianesimo, oggi essenziale nell’impegno per la pace nel mondo.
Gigliola Alfaro – Sir