Signore,
In cammino con la Parola
Pubblicato il Settembre 5, 2025

Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione

Vangelo di domenica 7 settembre

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Commento

A cura di Padre Pasquale Cormio

Essere discepoli di Gesù

Nel suo cammino deciso verso Gerusalemme, Gesù è accompagnato non solo dal gruppo ristretto dei suoi discepoli, ma anche da una folla numerosa, sicuramente attratta dalla sua predicazione e dai miracoli compiuti. Potrebbe essere l’occasione propizia da parte del Signore per sfruttare la sua notorietà, per godere del plauso e della riconoscenza di un vero e proprio movimento di massa. In realtà proprio questo seguito così anonimo induce Cristo a ribadire le condizioni per essere veri discepoli. Vivere il Vangelo comporta una scelta di fede radicale e richiede una fedeltà esclusiva, una dedizione amorevole che eccede una forma misurata. Il discepolo deve uscire dall’anonimato e maturare una decisione personale, libera, anche sofferta, per il Signore. Nel brano del Vangelo di questa XXIII domenica del Tempo Ordinario Gesù opera una vera scrematura della folla e propone tre condizioni imprescindibili per metterci sui suoi passi.

Prima indicazione per un credente: amare il Signore più del padre, della madre, della moglie, dei figli, fratelli, sorelle; persino più della propria vita. Sono parole a prima vista dure e provocatorie. Cosa vi è di più prezioso degli affetti familiari, dei legami di sangue, addirittura della propria esistenza? Non si tratta di trasgredire il comandamento mosaico: “Onora il padre e la madre”, ma di stabilire una gerarchia di valori lasciando al Signore il primo posto per amare Lui e, come Lui, amare se stessi e i propri cari. Un discepolo ama il Signore perché è il Signore, riconoscendogli una priorità assoluta rispetto a qualsiasi altro bene. La sequela si caratterizza per essere un’esperienza di amore assoluto e di libertà del cuore.

Seconda condizione: segue Cristo chi prende la propria croce sull’esempio del Maestro. Ma la croce che il discepolo deve portare ogni giorno (cfr. Lc 9,23), non è semplicemente immagine della prova e delle difficoltà che si possono patire, ma il segno della perseveranza nell’amore anche quando si affronta l’odio e l’ingiustizia prova; è espressione di una vita donata ai fratelli in obbedienza alla volontà del Padre; è la vittoria della misericordia sul peccato, inizio di una vita rinnovata.

Due parabole illustrano il discernimento del discepolo a favore del Vangelo. “Se uno viene a me…” dice Gesù: in evidenza è la libera e volontaria adesione del cuore alle sue parole, che devono essere accolte con responsabilità e attuate con perseveranza. Chi decide di costruire una torre, deve calcolare spese e tempi, per non essere deriso a motivo della sua incapacità a completare il progetto avviato. Chi deve affrontare in battaglia un nemico, deve individuare un piano strategico adatto alle proprie forze; diversamente sarebbe opportuno inviare un’ambasceria di pace per scongiurare un conflitto già perso in partenza. Essere discepoli richiede una sapienza umana e divina: non si può prescindere dallo spirito di sacrificio, dalla dedizione, dalla costanza fino alla fine. La sequela di Cristo non è dettata solo da uno stato emotivo iniziale, ma deve essere temperata quotidianamente dall’impegno e dalla perseveranza.

Terza ed ultima condizione: la rinuncia ai beni materiali. Ricorda Sant’Agostino: ciò comporta non solo fuggire l’accumulo dei beni, ma anche liberare il cuore dall’avarizia e dall’attaccamento a qualsiasi bene materiale. Fare il vuoto in sé stessi per essere ricolmi di Dio: “Che ci promette Dio? Oro? Argento? Beni? Onori? Non le sue promesse, ma se stesso. Tutto ciò che noi amiamo sulla terra è nulla paragonato con Dio” (Serm. 301/A, 6). Decidersi per Cristo e per il Regno di Dio non è solo una rinuncia impegnativa, ma apertura alla libertà, all’amore, ad una disposizione di gioia e pienezza.

Nel Vangelo ci vengono proposti degli atti concreti di sapienza che sono sconvolgenti. Dice il Signore: «Se uno per fare una torre ci pensa su, perché non vuole essere preso in giro dopo se non la finisce; se un re che fa la guerra ci pensa su, per non rischiare una sconfitta, possibile che voi prendiate il cristianesimo con una superficialità spaventosa? Lo buttate via quando lo volete buttare via, ci date importanza solo quando volete!». Possibile che quello che è la salvezza del mondo debba essere considerato con una leggerezza così grande? Il Signore ti dice: «Se tu non rinunci a tutto ciò che possiedi, non puoi essere mio discepolo». Tutte le volte che voi dite che possedete qualcosa, voi siete posseduti da quella cosa. Non dite: «Io posseggo una casa»; dite: «Sono posseduto dalla mia casa». Il Signore vuole che tu rinunci a quell’essere posseduto. Questo è il senso della Parola di Dio. Questa è sapienza del cuore!

Don Oreste Benzi (Tratto da “Pane Quotidiano, Sempre Editore”)

L’opera d’arte

Stefano di Giovanni di Consolo detto il Sassetta, San Francesco d’Assisi rinuncia ai beni paterni (143744), Londra, National Gallery. “Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Queste parole trovano un degno compimento in Francesco d’Assisi, la cui rinuncia ai beni paterni è raffigurata nel Polittico di Borgo San Sepolcro – oggi smembrato – dipinto dal Sassetta, il “primo” pittore del Rinascimento senese. Sotto una loggia, il Vescovo di Assisi, su di uno scranno, avvolge nel suo manto il giovane nudo.

Specularmente opposto a loro, al di fuori del portico, è il padre del Santo, Pietro di Bernardone, trattenuto da un concittadino, mentre sta per lanciarsi contro il figlio, di cui regge uno dei sontuosi abiti. Sullo sfondo un edificio di colore grigio, probabilmente una chiesa, dove un personaggio solitario, con il breviario in mano, è assorto nella preghiera. Rispetto al modello di riferimento carico di pathos, dipinto da Giotto nella basilica superiore di Assisi, l’opera del Sassetta – si notino le architetture e i colori stravaganti – appare immersa in una dimensione “fatata”.

V.P.

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