Giornata mondiale Alzheimer. In Italia emergenza sociale e caregiver allo stremo
Non è solo una sfida medica, ma “un problema sociale, culturale ed economico che riguarda tutti”.
Giovanna Pasqualin Traversa
In occasione del XIV Mese mondiale Alzheimer e della XXXII Giornata mondiale dedicata (21 settembre), l’Italia si confronta con una realtà sempre più urgente: l’Alzheimer non è solo una malattia neurodegenerativa, ma una vera e propria emergenza sociale. Secondo la Sigot (Società italiana di geriatria ospedale e territorio), nel nostro Paese sono oltre 4 milioni le persone direttamente coinvolte: 1,1 milioni di pazienti con demenza e almeno 3 milioni di caregiver familiari, spesso soli ad affrontare un enorme peso psicologico, fisico ed economico. Riabilitazione al centro della cura. La Federazione Alzheimer Italia, in collaborazione con Alzheimer’s Disease International (Adi), ha presentato in vista della Giornata il Rapporto mondiale Alzheimer 2025, che pone al centro della cura un tema ancora troppo trascurato: la riabilitazione. Il documento dimostra, attraverso analisi e casi studio, come gli interventi riabilitativi possano aiutare le persone con demenza a mantenere più a lungo le funzioni cognitive, l’autonomia e la partecipazione sociale, migliorando la qualità della vita e ritardando l’ingresso in strutture residenziali. “Dobbiamo smettere di pensare che la vita finisca con la diagnosi di demenza – afferma Mario Possenti, segretario generale Federazione Alzheimer Italia –. Una persona può vivere ancora a lungo, in modo pieno e con dignità, se ha accesso a un sostegno efficace e personalizzato, capace di valorizzare le capacità residue e accompagnare la famiglia”.
Diritto e strategia
Secondo il Rapporto, la riabilitazione è “un diritto delle persone con demenza”, da “integrare nei Piani nazionali” in linea con la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e con il Piano d’azione globale dell’Oms. Nel nostro Paese le linee guida dell’Istituto superiore di sanità confermano il valore degli interventi riabilitativi e psicosociali accanto ai farmaci. Tra le pratiche raccomandate training cognitivi per sostenere memoria, attenzione e funzioni esecutive; attività fisica: camminate quotidiane, ginnastica dolce, cyclette, esercizi di equilibrio; terapie creative: musicoterapia, reminiscenza, attività sociali. Al contrario, le linee guida mettono in guardia e scoraggiano l’uso di interventi privi di evidenze scientifiche, come diete chetogeniche, integratori o agopuntura. “La riabilitazione – assicura Paola Barbarino, CEO Alzheimer’s Disease International – restituisce un senso di identità e di intenzionalità: anche i più piccoli progressi possono trasformare una vita”.
Caregiver: pilastri silenziosi e invisibili.
A richiamare l’attenzione su un aspetto spesso ignorato, il coinvolgimento dei caregiver familiari, vero pilastro dell’assistenza, è la Sigot riportando dati internazionali allarmanti: il 40% dei caregiver sviluppa sintomi di ansia o depressione. Applicato alla realtà italiana, significa oltre 1,2 milioni di persone a rischio di ammalarsi per il carico assistenziale. Di qui il monito di Virginia Boccardi, del direttivo nazionale Sigot: “Mai dimenticare i pazienti e massima attenzione a chi presta le cure”. L’Alzheimer non è solo una sfida medica, ma “un problema sociale, culturale ed economico che riguarda tutti”.
Stigma e isolamento
Molte famiglie vivono la diagnosi come una condanna da nascondere, uno stigma, restando isolate e prive di sostegno. Del resto, i servizi psicologici per caregiver sono quasi assenti, e le strutture di supporto sono poche e distribuite in modo diseguale.
Terapie innovative: avanti ma con prudenza
“La ricerca scientifica ha compiuto progressi significativi, ma ancora non risolutivi”, afferma la Sigot. L’immunoterapia con anticorpi monoclonali anti-amiloide ha mostrato la capacità di rallentare lievemente il declino cognitivo in alcuni pazienti. “Tre molecole – aducanumab, donanemab e lecanemab – sono state approvate dalla Fda americana, e quest’ultima anche dall’Ema in Europa”, informa la società scientifica. Tuttavia, la prudenza è d’obbligo: la progressione della malattia “può rallentare di circa il 20–30%, ma non è ancora chiaro se questo effetto si mantenga negli anni”. Inoltre, solo una minoranza di pazienti (circa il 10%) potrà beneficiarne, e “restano aperti interrogativi su costi, somministrazione endovenosa, monitoraggio degli effetti collaterali e disparità regionali nell’accesso alle cure”. Per il presidente Sigot, Lorenzo Palleschi, “la speranza nei farmaci innovativi è importante, ma non sufficiente.
Serve una visione più ampia e integrata”
Priorità per il futuro. In altre parole, una visione integrata della cura che metta al centro la persona e la comunità: su questo principio Sigot e Federazione Alzheimer Italia convergono. Prioritari a questo fine diagnosi precoce e centri cognitivi diffusi sul territorio; prevenzione attraverso stili di vita sani e stimolazione cognitiva, fisica e sociale; comunità dementia-friendly, capaci di accogliere e non isolare. E ancora: teleriabilitazione per raggiungere chi vive lontano dai centri specializzati; formazione dei terapisti con competenze specifiche sulla demenza; servizi domiciliari strutturati e sostegno psicologico per i caregiver.
Una comunità che non lascia indietro nessuno
“In un Paese dove i costi complessivi della demenza superano i 23 miliardi di euro l’anno, di cui oltre il 60% a carico diretto delle famiglie, investire nella riabilitazione e nel supporto non è solo un dovere etico – conclude Possenti –, ma anche una scelta strategica e sostenibile per il nostro futuro”. Del resto, se la civiltà di un Paese si misura sulla capacità di proteggere i suoi cittadini più fragili, la sfida dell’Alzheimer non si vince nell’isolamento delle famiglie, ma con la forza di una comunità che sceglie di non lasciare indietro nessuno.