Unificazione
Attualità, Chiesa, Editoriali
Pubblicato il Settembre 24, 2025
Editoriale

Unificazione delle Diocesi, primi passi e resistenze

di Luigi Lamma

Lievito q.b.. Di solito così si legge nelle ricette di cucina. Per essere “lievito di pace” nella società, nella comunità ecclesiale e nel percorso di unificazione delle chiese di Modena e di Carpi quanto ne serve di lievito per sollevare la pasta? “Come essere lievito di pace”? E’ su questa domanda che si è soffermato il vescovo Erio nel suo intervento nel corso dell’assemblea interdiocesana per l’apertura dell’anno pastorale. Come sfondo la lettera pastorale “Cristo è la nostra pace. Disarmata e disarmante”, da riprendere e approfondire nel corso dell’anno ma dove si esplicitano i cinque verbi che compongono il “pentagono della pace”: sdegnarsi, dialogare, pregare, aiutare e testimoniare. Da qui parte l’affondo del Vescovo, deciso, diretto come poche volte lo abbiamo sentito. Dovessimo ricorrere a titoli ad effetto si potrebbe parlare di “strigliata”, di “bacchettata” per i moti di resistenza che qua e là affiorano nel cammino che sta portando all’unificazione delle diocesi.

Il punto di partenza è chiaro “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes, 1). Se così non fosse vuol dire che la comunità ecclesiale sta fuori dalla realtà, vivacchiando tra individualismi e fatalismo, incapace di stare nella crisi in cui versa il mondo oggi, così come richiede l’essere discepoli di Cristo. Se è vero che la pasta senza lievito non cresce è altrettanto necessario che il lievito mantenga la sua natura, le sue qualità. Eccoci di nuovo al punto: qual è la qualità della vita cristiana, individuale e comunitaria? Pausa e respiro profondo. Se non siamo uniti tra noi? Se non siamo in pace tra di noi? Che forza avrebbero lo sdegno, la preghiera, l’impegno, la testimonianza…che credibilità hanno le dichiarazioni, le mobilitazioni, le adesioni alle manifestazioni di piazza? Il giudizio è netto: il conflitto nelle nostre comunità ne depotenzia la vita e l’attività. Ce ne sarebbe a sufficienza per chiudere, salutare e tornare a casa e in parrocchia con un bel po’ da meditare.

Ma come spesso ci ha abituati il vescovo Erio, guai a stare fermi, o si va in salita o, visto da un’altra prospettiva, si scende nella profondità del mistero, in questo caso del mistero della Chiesa, dell’appartenenza e della sua unità. Da qui un’altra domandina: cari battezzati siete dei partiti o membra dello stesso corpo in virtù dell’Eucarestia che ci rende tali? Pensate di essere in un parlamento piuttosto che nella chiesa di Cristo? I carismi, le sensibilità e le competenze su alcuni aspetti della pastorale, hanno senso se vengono consegnati, in una logica autenticamente sinodale, alla comunità più grande che è la Chiesa, se no generano individualismo e vittimismo. Se ci misuriamo con l’urgenza della profezia, allora è “la passione per l’insieme, la cura per l’unità del corpo di Cristo la vera profezia”.

Nel momento in cui si entra nel vivo del processo di unificazione con l’avvio delle prime due riforme organizzative della curia e dei vicariati è comprensibile qualche smottamento, qualche certezza che viene meno. Tutto però andrebbe proiettato nella prospettiva di un “di più”, dove l’unificazione è la risultante di una somma e non di una sottrazione. C’è un bene superiore, la comunità più grande, la nuova diocesi, che si costruisce con “pietre vive”, ovvero con le persone che portano il loro patrimonio di esperienza, di dedizione, di amore alla chiesa, siano essi sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli laici. Quel popolo santo di Dio che, come è stato ricordato, partecipa all’ufficio profetico della Chiesa.

Quindi nessuno si può sentire escluso o ai margini di questo percorso dove occorre saper distinguere chiaramente tra fini e mezzi, tra ciò che serve a far funzionare il “corpo” e ciò che determina la qualità delle membra del corpo, quel “lievito di pace” che deve permeare prima di tutto le relazioni interpersonali. C’è chi invoca maggiore consapevolezza teologica e più preghiera comunitaria per accompagnare il processo di unificazione delle due diocesi, ancora c’è chi accusa i cattolici carpigiani di essere afoni e di subire passivamente lo “scippo” della diocesi, altri temono che la “grande diocesi” dimenticherà le periferie specie quelle che ancora sperano di riavere la chiesa abbattuta dal sisma del 2012, ci sono poi quelli che considerano la perdita del vescovo e della diocesi di Carpi un ulteriore segnale di decadimento del prestigio della città, poi… come dire le istanze sono molteplici e tutte più o meno legittime.

Dopo le parole accorate spese oggi si avrà l’umiltà di cambiare il registro delle lamentazioni? Si capirà finalmente che la chiesa è un corpo vivo fatto di membra altrettanto vive, o ancora di “pietre vive” se c’è chi ama l’edilizia più dell’anatomia? Le parole conclusive del vescovo Erio sono come la stella polare per questo inizio d’anno pastorale: “Ricordo che la pace per noi è quella pasquale di Cristo, una pace che domanda conversione personale e comunitaria: ascolto del vangelo, ascolto reciproco, smussare l’orgoglio e farsi prossimi specie ai più poveri. L’eucarestia ci aiuta a passare da partiti a membra, dal parlamento al corpo di Cristo”.

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Mercoledì 24 settembre, ricorre il primo anniversario della morte di monsignor Elio Tinti, vescovo di Carpi. Domenica 28 settembre, in Cattedrale a Carpi, dove l’amato Pastore è sepolto, la Santa Messa di suffragio presieduta da monsignor Douglas Regattieri, vescovo emerito di Cesena-Sarsina
di redazione@notiziecarpi.it 
Pubblicato il 24 Settembre, 2025
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