Coraggiose combattenti: ciclo di incontri sulle donne nella Resistenza
Ciclo di conferenze “Donne invisibili tra guerra, Resistenza e ricostruzione” condotto dallo storico Fabio Montella e promosso dall’Associazione “Donne in Centro” di Mirandola, in collaborazione con Avis Mirandola, Istituto Storico di Modena e Via Roma 31 storia e comunicazione, con il contributo del Comune di Mirandola e la collaborazione dei comitati frazionali
di Virginia Panzani
Umbertina Smerieri “Marisa”, nativa di Santa Giustina Vigona, staffetta partigiana, fucilata dalla Brigata Nera a Revere il 25 marzo 1945, medaglia d’argento al valor militare alla memoria
Con le prime due serate a San Martino Spino (8 ottobre) e Tramuschio (10 ottobre) è iniziato il ciclo di otto conferenze dal titolo “Donne invisibili tra guerra, Resistenza e ricostruzione”, promosso dall’Associazione “Donne in Centro” di Mirandola, in collaborazione con Avis Mirandola, Istituto Storico di Modena e Via Roma 31 storia e comunicazione, con il fondamentale contributo del Comune di Mirandola e la collaborazione dei comitati frazionali. Gli incontri, organizzati nell’ambito dell’80° della Liberazione, sono condotti dallo storico e giornalista Fabio Montella, che da anni ha avviato ricerche su questi temi e che sta presentando risultati inediti, riferiti ad ogni territorio. “Abbiamo pensato a un ciclo a chilometro zero, se mi si consente l’espressione – spiega Montella -. Vogliamo parlare delle donne delle singole frazioni proprio là dove hanno agito e dove magari ci sono ancora discendenti o conoscenti. Riteniamo che così si possa favorire la partecipazione da un lato, e invogliare a contribuire alla discussione dall’altro. Il nostro obiettivo è infatti stimolare i famigliari o chi è al corrente di queste vicende, di mettere a disposizione ricordi, documenti, testimonianze o fotografie”.
Dottor Montella, una prima domanda “introduttiva”: qual è lo stato attuale della ricerca storica sul ruolo delle donne nella Resistenza in Italia? Siamo indietro rispetto ad altri Paesi?
In Italia e in Europa per molto tempo si è parlato poco del contributo delle donne nella Resistenza e solo come fenomeno secondario e accessorio rispetto a quello degli uomini. Sia nel discorso pubblico che nella ricerca storica, si è posta molta attenzione alla figura del partigiano-maschio-combattente, che tra l’altro rimandava a un’iconografia classica e a un concetto tradizionale di cittadinanza. A portare le armi e a combattere – e quindi ad essere un cittadino nel senso pieno del termine – era l’uomo. E il partigiano non sfuggiva a questa visione, che si è conservata anche nell’Italia che aveva completamento voltato pagina dopo la dittatura. Solo a partire dagli anni Settanta del Novecento si è iniziata a riconoscere la complessità della presenza femminile nella Resistenza. A favorire questa riscoperta sono state l’elaborazione di nuove categorie interpretative (come quella di Resistenza civile, accanto a quella armata) ed anche l’influenza dei movimenti femministi. Oggi si sono fatti notevoli passi avanti, ma ci sono ancora molte zone d’ombra, specie se dal piano generale si scende sui singoli territori e si vanno a ricostruire numeri e biografie.
In base alle ricerche che sta compiendo sulle donne nella Resistenza nel nostro territorio, quale “panorama” è emerso? In che modo le nostre donne si sono impegnate, dalle “rezdore” più nascoste, alle staffette e a quante combatterono in prima linea?
Il mio lavoro si sta concentrando su quella che fu la seconda zona partigiana, per intenderci quella dove operava la brigata “Remo”, attiva sui nove Comuni della Bassa. La ricerca non è ancora conclusa e conto di fare passi avanti anche con questo ciclo di conferenze. Al momento posso dire che siamo di fronte a un fenomeno di dimensioni rilevanti, per certi versi inaspettato, e del quale sicuramente si è parlato poco. Ad oggi ho censito circa 250 donne della Bassa modenese che nel dopoguerra furono riconosciute partigiane o patriote, una qualifica minore, quest’ultima, ma che non comportò minori rischi. Ci furono anche sei partigiane cadute, alle quali va aggiunta una settima vittima, uccisa dai fascisti per rappresaglia o per errore. Ci furono ovviamente livelli diversi di impegno, tempo e modalità di partecipazione alla Resistenza, ma in generale possiamo dire che le donne ricoprirono un ruolo fondamentale e mostrarono grande abnegazione, coraggio e anche una certa sfrontatezza di fronte al nemico. Bisogna poi considerare che a fronte di 250 donne che richiesero la qualifica, ce ne furono molte altre che non pretesero nulla per sé. È una specie di grande zona grigia che sto cercando di ricostruire.
Come accennava poc’anzi, gli incontri saranno anche occasione per avvicinare eventualmente persone che possono offrire testimonianze e documenti in grado di arricchire quello che già si sa o scoprire qualcosa di nuovo…
La mia ricerca si basa soprattutto su documenti, ma il confronto con i discendenti o con chi può avere documentazione al riguardo, magari chiusa da anni in un cassetto, è importante. L’idea è quella di far confluire tutto in un libro. Purtroppo le protagoniste di quelle vicende non ci sono più, ma per fortuna ci hanno lasciato delle testimonianze orali e scritte molto significative a partire dalla fine degli anni Sessanta. Le presenterò nel corso delle conferenze, per raccontare queste storie direttamente con le loro voci.
Il contributo delle religiose: Piccole Figlie dei Sacri Cuori e Cappuccine
Uno degli ambiti su cui si concentra, in questo periodo, la ricerca storica di Fabio Montella riguarda il ruolo delle religiose nella Resistenza, ovvero come suore e monache abbiano fornito supporto ai gruppi partigiani e ai soldati alleati. “Questa è una delle pagine meno note della Resistenza sul nostro territorio – osserva Montella -. Le Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a Concordia – dove sono presenti tuttora, ndr – diedero un contributo importante al soccorso dei perseguitati dal nazifascismo, ma di loro, fino ad oggi, non conosciamo nemmeno il nome. Lo stesso fecero le loro consorelle a Parma, che nascosero fucili, mitragliatrici e munizioni nel loro convento, seppellendoli nell’orto. E qualcosa di analogo accadde a Carpi. Nel settembre del 1943 le Cappuccine fecero fuggire dalla caserma adiacente al monastero alcuni militari italiani in fuga e nascosero in un pozzo le loro armi abbandonate, che furono poi recuperate dai partigiani. Sul nostro territorio le religiose, come del resto i sacerdoti, furono certamente schierati più coi ‘ribelli’ che coi nazifascisti – sottolinea -. È una vicenda che ci racconta molto della Chiesa locale, della sua sensibilità, del suo modo di leggere la realtà e anche del suo coraggio”.
Soave Cappelli “Rina”, partigiana di Concordia, uccisa dai tedeschi durante un rastrellamento il 14 marzo 1945
Ernestina Arbizzi “Paola”, ferita durante il combattimento di Motta di Cavezzo il 15 gennaio 1945, morì il giorno seguente
Programma
Dopo l’8 ottobre a San Martino Spino, questi i prossimi incontri, alle ore 20.30: venerdì 10 ottobre a Tramuschio (sala parrocchiale, via Fila n. 20), mercoledì 15 ottobre a Gavello (centro civico “Mattia Serra”, via Valli n. 324-326), venerdì 17 ottobre a Mortizzuolo (canonica, via Imperiale n. 198), venerdì 24 ottobre a Mirandola (questo incontro sarà alle ore 17.30, Polo culturale “Il Pico”, piazza Garibaldi), mercoledì 29 ottobre a San Giacomo Roncole (Circolo “Zeni”, via Dosso n. 32), venerdì 31 ottobre a Quarantoli (sala “Guicciardi”, via Pertini n. 5) e lunedì 17 novembre a Cividale (canonica). Ingresso libero e gratuito.
Fabio Montella