Caritas,
Carpi, Chiesa, Modena
Pubblicato il Ottobre 23, 2025

Caritas, un arsenale di speranza

Primo momento interdiocesano di formazione. Sull’educazione alla pace la testimonianza del Sermig di Torino

di Estefano Tamburrini

È la prima volta che operatori e volontari delle comunità di Modena-Nonantola e di Carpi partecipano uniti all’Assemblea delle Caritas parrocchiali per l’apertura dell’Anno pastorale 2025-2026, consolidando un ulteriore passo avanti verso l’unificazione. L’appuntamento, dal titolo “Cristo è la nostra pace, disarmata e disarmante”, si è tenuto lo scorso 18 ottobre, nei locali della parrocchia di Gesù Redentore, su iniziativa del Servizio Caritas diretto da suor Maria Bottura, che ricopre anche l’incarico di delegata per la Carità presso il Consiglio episcopale.

L’assemblea ha visto la partecipazione del Servizio missionario giovani di Torino, conosciuto anche come “Arsenale della pace”, che ha condiviso testimonianze e racconti sul proprio impegno nel contrasto alla povertà educativa. “Non veniamo qui come professionisti del settore ma per condividere l’esperienza di una Chiesa scalza che si toglie i sandali per camminare insieme ai tanti scalzati dalla vita”, ha commentato don Andrea Bisacchi, sacerdote e membro della fraternità del Sermig, che insieme ad altri due confratelli gestisce tre parrocchie affidate all’Arsenale e situato a cavallo tra due quartieri difficili del torinese, come lo sono Barriera di Milano e Barriera di Aurora.

Sono tanti gli scalzati incontrati in più di quarant’anni, dal 1983, quando Ernesto Olivero e sua moglie Maria fondarono il Sermig. “Qui abbiamo incontrato povertà diverse: nei decenni passati accoglievamo persone senza fissa dimora – molte di loro provenienti dal Maghreb mentre tra gli anni Novanta e Duemila in tanti arrivavano dai Paesi dell’Est”, spiega don Bisacchi. “Nel frattempo spuntava già una povertà di valori, sogni e senso tra i giovani, privi di obiettivi a cui dedicare la propria vita”, ha proseguito introducendo “quella che oggi chiamiamo povertà educativa e che riguarda giovani di ogni età”. E “non basta la sola preparazione” per contrastare il fenomeno ma “servono anche persone appassionate” perché, anche se “la formazione è importante” c’è bisogno di “passione per risvegliare il fuoco nel cuore dei giovani”. Tuttavia, dice don Andrea, la nostra società vanta sempre “più persone formate, ma poco disposte amare”.

In termini generali il nome “Arsenale di pace”, nella sua contraddizione, propone di “cercare la luce nel buio” e sottolinea che “il male del nostro mondo non si vince con la forza, ma con il bene”. Il simbolo più tangibile è presente nella storia del Serming, che ha “convertito” la prima fabbrica italiana di armi in un “luogo dedicato all’accoglienza delle fragilità”. “È questa la parola chiave, conversione, che consiste nel fare, prima di tutto, un esame di coscienza. Gli altri? Possono cambiare soltanto se noi lo facciamo”, osservano gli operatori del Sermig, che gestisce 3.600 progetti in Italia e nel mondo. C’è un Arsenale di pace in San Paolo, Brasile, che accoglie 1.200 uomini di strada, e un altro a Madaba, in Cisgiordania, che ospita 250 persone tra bambini, ragazzi, adulti e disabili. “Due case fondate sull’incontro con le sofferenze, che unisce persone di religione diversa, locali e stranieri”. A Torino, accoglie 300 persone fragili tutte le notti, tra cui bambini affetti da leucemia insieme alle loro famiglie, disabili, richiedenti asilo politico e persone agli arresti domiciliari che “vogliono cambiare vita”. Inoltre, almeno 50mila giovani si recano ogni anno all’Arsenale della pace per fare un’esperienza formativa, attraverso scuole, campi di formazione, weekend, visite, progetti e laboratori.

La fraternità del Sermig, abitata da famiglie, monaci, consacrate e sacerdoti, propone anche momenti culturali e di spiritualità rivolti a tutti. “Siamo prima di tutto una casa di preghiera”, commenta il Sermig mentre parla della realizzazione di “cicli di incontri e testimonianze per aiutarci a vivere insieme i segni dei tempi”. Tali attività vengono organizzate nell’ambito dell’“Università del dialogo”, che ha sede presso il Servizio e coinvolge “credenti e non credenti” che si confrontano su argomenti diversi, tra cui geopolitica, psicologia, esperienze missionarie e Intelligenza artificiale. Ogni iniziativa “parte sempre dalla vita di testimoni, che raccontano la loro esperienza per aprire il dialogo”. L’intensità delle attività svolte a Torino e i progetti all’estero richiedono un certo equilibrio tra la dimensione locale e quella globale, oltre a capacità organizzative impeccabili. Tuttavia i sacerdoti dell’Arsenale della pace non appaiono preoccupati e commentano che “i piani strategici” del Sermig sono “guidati dallo Spirito Santo”, perciò “non ci facciamo problemi”. Per il Servizio “ogni progetto avviato e ogni nuova Casa di accoglienza che viene aperta rispondono a una profezia”. Poi, a livello operativo, “c’è una fraternità che cerca di fare la volontà del Signore”.

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