La
Attualità, Chiesa, Il Settimanale
Pubblicato il Novembre 5, 2025
Editoriale

La Dilexi te e la chiesa povera con i poveri

Giustizia non beneficenza

di don Mattia Ferrari

La prima Esortazione apostolica di papa Leone XIV, che raccoglie un progetto avviato da papa Francesco negli ultimi mesi della sua vita, contiene già nel titolo e nel sottotitolo un’indicazione fondamentale: la chiesa non solo aiuta i poveri, bensì li ama. Nella Sacra Scrittura, l’amore è qualcosa di viscerale, è quello della madre che guarda il figlio appena nato. È quello che di san Francesco dice Tommaso da Celano, citato nel testo: «Dimostrava di amare intensamente i poveri […]. Spesso si spogliava per rivestire i poveri, ai quali cercava di rendersi simile» (n. 67). L’amore è qualcosa di sostanziale. Uno dei padri della sociologia, August Comte, nella fase finale della sua produzione arrivò a scrivere: «Si cessa di pensare, ed anche di agire; non si cessa di amare» (1). Teilhard de Chardin, gesuita, scienziato, filosofo e teologo diceva: «L’amore è la più universale, la più formidabile e la più misteriosa delle energie cosmiche» (2). È Dio che ama per primo, ed è nel Suo amore che la chiesa è chiamata ad amare tutti e in modo speciale i poveri, secondo quell’amore che sgorga dal cuore di Cristo e che è stato descritto da papa Francesco nell’Enciclica Dilexit nos, a cui la Dilexi te si richiama nel titolo. È un amore che si manifesta nella Rivelazione (cap. II). L’amore verso i poveri segna tutta la storia della chiesa (cap. III), in una lunghissima tradizione di santi e sante, molti dei quali sono citati nel testo, che hanno vissuto questo amore secondo vari carismi. Nelle pagine sulla storia della chiesa papa Leone inserisce anche i movimenti popolari (nn. 8081), indicando che le persone di buona volontà che vivono questo amore e danno carne a questa solidarietà e a questa fraternità, fanno parte della nostra storia, e la chiesa è chiamata a prenderle per mano.

L’amore della chiesa per i poveri genera non solo opere di carità ma anche la sua riflessione sociale sulle ingiustizie e il suo impegno per trasformare la società e l’economia (cap. IV). Papa Leone sottolinea il lavoro importante delle Conferenze episcopali, che spesso hanno sviluppato riflessioni poi confluite nel magistero pontificio. In particolare, l’Esortazione apostolica riprende il percorso della chiesa latino-americana, manifestato in persone come sant’Oscar Romero e nelle Conferenze dell’episcopato latino-americano. Papa Leone assume in particolare due temi di questo magistero episcopale. Il primo è quello delle strutture di peccato, trattato nella Conferenza di Medellín del 1968. A volte le ingiustizie diventano strutturali, e davanti a ciò la chiesa, in nome dell’opzione preferenziale per i poveri, deve agire per trasformare la realtà, con quell’amore che ha un valore politico: «La carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento» (n. 91). Questa carità unisce i gesti concreti di aiuto e l’impegno strutturale per scardinare le ingiustizie: «Le strutture d’ingiustizia vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene, attraverso il cambiamento delle mentalità ma anche, con l’aiuto delle scienze e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società» (n. 97).

L’altro aspetto del Magistero latino-americano che papa Leone riprende – già tematizzato nella Conferenza di Aparecida del 2007 – sono i poveri come soggetto: occorre «considerare le comunità emarginate quali soggetti capaci di creare una propria cultura, più che come oggetti di beneficenza» (n. 100). Riconoscere i poveri come soggetti significa anche lasciarsi evangelizzare da essi, come diceva papa Francesco e come ribadisce papa Leone (n. 102). In conclusione, l’Esortazione apostolica invita a una sfida permanente (cap. V): dopo aver richiamato la bimillenaria storia di amore verso i poveri, afferma che «dobbiamo sentire l’urgenza di invitare tutti a immettersi in questo fiume di luce e di vita che proviene dal riconoscimento di Cristo nel volto dei bisognosi e dei sofferenti» (n. 103). Tra i tanti discepoli di Gesù che hanno vissuto questo amore ce n’è uno che è stato un fratello maggiore per molti di noi: il cardinale Loris Capovilla, segretario di san Giovanni XXIII. C’è un aneddoto interessante che lo riguarda. Raccontava: «È venuto un mio amico imprenditore. Gli ho chiesto: “Nella tua azienda hai dei lavoratori di origine straniera?”. Mi ha risposto: “Sì, monsignore”. “Li paghi come si deve, secondo le tariffe sindacali?”. “Sì, monsignore”. “Ti capita mai di vedere che qualcuno di loro, musulmano, durante le ore di lavoro si ferma per pregare e, anziché rimproverarlo, di dirgli: ‘Grazie per la testimonianza che mi dai, ricordando anche a me l’importanza della preghiera’?”. “Sì, monsignore”. Allora gli ho detto: “Se fai tutto questo, sei una brava persona, ma non sei ancora cristiano. Sarai cristiano il giorno in cui lo amerai. Perché il cristiano è alla scuola di Gesù e quindi finché gli altri, e specialmente i poveri, non ti entrano nel cuore, cristiano non lo sei”». È questa la bellezza, soave e sovversiva, del Vangelo di Gesù.

1 A. Comte, Discorso preliminare sull’insieme del positivismo, in Id., Opuscoli di filosofia sociale, Sansoni, Firenze 1969, pp. 409787, qui 410 (ed. orig. Paris 1848).

2 P. Teilhard de Chardin, L’energia umana, il Saggiatore, Milano 1984, p. 21.

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