Libri.
Attualità, Carpi
Pubblicato il Dicembre 19, 2025

Libri. Il “buon regime” di Carpi secondo Florio Magnanini

Una minuziosa ricostruzione di fatti e persone della vita politica e sociale dal 1955 al 1970

 

Pier Giuseppe Levoni

Credo che i carpigiani debbano gratitudine a Florio Magnanini, direttore di VOCE, per il suo libro “Il buon regime” (Comunismo e benessere nella Carpi del miracolo 1955-1970), un racconto che si fa apprezzare non solo per lo stile narrativo sempre chiaro e piacevole, ma, e soprattutto, perché ricostruisce una fase cruciale della storia della nostra città. Un racconto scandito con dovizia documentaria, mai noioso, anche perché animato da una vivace galleria di personaggi, che sono noti ormai solo ad una sempre più esigua minoranza di nostri concittadini. L’ Autore, avvalendosi della personale esperienza di partecipe politico e poi di Funzionario Comunale nel periodo successivo a quello qui storicizzato, proietta al lettore un film di prima mano delle vicende di quegli anni, che analizza e commenta con la consumata perizia dell’appassionato di storia e del giornalista di vaglia. Ma veniamo al sodo. Quale valutazione sostanziale esprime l’autore su quel quindicennio di crescita, in ogni dimensione, di Carpi? La risposta è già rivelata dal titolo ossimorico. Oggi infatti il termine “regime”, inteso politicamente, ha valenza non proprio positiva. Indica un contesto di pesante e pervasiva cappa ideologico-partitica sulla società. E questo indubbiamente accadeva allora nella nostra comunità, con una maggioranza, erede di una locale robusta tradizione antica (socialismo/comunismo prefascista) e recente (martellante monopolizzazione della Resistenza); una maggioranza PCI fideisticamente ispirata agli ideali del paradiso sovietico e gramscianamente capace di un’egemonia concreta sulla società. Ciò grazie ad un forte apparato burocratico e capillarmente presente, capace di influenzare larghi strati di popolazione in fase di inurbamento dalle frazioni, feudo controllato da sempre. Grazie ad una rete di organizzazioni satellite del partito e alle modalità di gestione quotidiana del potere amministrativo, imperniata, soprattutto ma non solo (assunzioni, contribuzioni, stagione teatrale, ecc.), sulla discrezionalità nell’utilizzo “ideologico” dell’imposta di famiglia, per l’acquisizione e il mantenimento del consenso elettorale, come ben rimarca lo stesso Magnanini (p.86).

 

Un regime PCI all’ombra della DC

Se dunque quello del quindicennio narrato fu un “regime”, si può comunque definirlo “buono”, come attesta il titolo del volume? Sì, a giudizio, dell’Autore, secondo il quale il paradosso, l’incongruenza (comunisti/benestanti), che l’imprenditore Crotti e il suo periodico Tuttocarpi denunciavano senza comprenderlo, si spiega con la capacità della Giunta di “governare il NUOVO molto meglio degli avversari politici o dei competitori sociali”.  Ma, a ben vedere, quel NUOVO, la crescita straordinaria di Carpi, non dipendeva certo in primo luogo dalle scelte del Comune, bensì dal contesto politico nazionale a guida Democrazia Cristiana, che favorì il “miracolo italiano”, cioè lo sviluppo rapido di tante zone del nostro Paese, ad esempio in Lombardia e Triveneto, dove per lo più non governavano giunte comunali di sinistra. Dipendeva, in seconda battuta, dalla tradizionale laboriosità e dalla rinnovata intraprendenza dei carpigiani, che aspiravano a migliorare la loro condizione di vita, inserendosi rapidamente nel generale sviluppo del nostro Paese.  Losi e i suoi assessori agevolarono e sostennero indubbiamente con opportune decisioni quel processo, e ci mancherebbe che l’avessero passivamente subito o addirittura ostacolato; furono in ciò sempre assecondati dalla condivisione della minoranza DC quando si trattava di scelte fondamentali per il bene della comunità.  Ci fu invece opposizione ragionata quando le proposte della maggioranza sul tracciato della tangenziale (pp.116-118) o sulla pianificazione urbanistica (pp 97-102) apparvero e si rivelarono poi non proprio illuminate. Sembra inoltre obiettivamente fuori luogo parlare di “inerzie dei Governi centrali” (p.24) riferite ad anni in cui tali governi, a trazione DC, promossero riforme e misure di grande impatto (Piano Vanoni, Piano Fanfani INACasa, Scuola Media Unica, Autosole, Autobrennero, aree PEEP legge 167/1962) che contribuirono in modo determinante alla trasformazione socioeconomica dell’Italia. Quindi, non certo perché “appesantita” dalle suddette presunte “inerzie”, la DC carpigiana fu “condannata a una condizione di permanente minorità” (ibidem), bensì principalmente dalla pervasività politico-amministrativa locale comunista, le cui linee ho sopra ricordato, che giocò i suoi effetti, per qualche aspetto, anche nei decenni successivi. Dopo queste considerazioni sul cuore storico-politico della ricostruzione di Magnanini di quel quindicennio, sarebbe stimolante poter commentare gli innumerevoli spunti (personaggi, eventi, risultati, sgambetti, alleanze recondite, sconfitte e glorie) che il libro offre alla riflessione dei lettori, per condividerne, confutare o integrare le valutazioni. Ma occorrerebbe ben più di un articolo; un altro “libro”, come altrove ho già auspicato. Mi limito perciò a un paio di osservazioni.

 

I preti imprenditori

L ’Autore dedica non poche pagine alle figure di quelli che definisce “Due preti imprenditori”, cioè Don Ivo Silingardi e don Vincenzo Benatti, eredi lontani, a suo dire, “dell’attivismo di un Don Maletti nell’inventare e consolidare presìdi cattolici in una società, agli albori del Novecento, dominata dal movimento operaio diretto dal Partito Socialista, come nel periodo che stiamo qui considerando dal Partito Comunista.”(p.67) In proposito  apparirebbe meno remoto e più congruo il riferimento di questi due presbiteri diocesani a quel don Armando Benatti che fra il 1927  e il 1937 fondò e diresse a Carpi,  in via Rocca l’L’Opera Realina, raccogliendo ragazzi con l’intento di insegnare un mestiere e di avviarne al lavoro tanti, in tempi di disoccupazione e di miseria in cui viveva la popolazione. La sua “scuola” disponeva di laboratori per la formazione di fabbri, falegnami, meccanici, tipografi e disegnatori. Insomma fu un vero antesignano dell’impegno professionalizzante dei giovani, che caratterizzò, con stili ed ottiche diverse, don Ivo e don Vincenzo. A proposito di quest’ultimo inoltre appare troppo sbrigativo il cenno al ruolo svolto dall’ACEG, da lui creata, nel settore della meccanica, che Magnanini bolla come “più eredità del passato che protagonista del nuovo sviluppo della città”. (p.71) E’ ben documentato infatti l’apporto fondamentale dato, prima che fosse istituito il Vallauri, proprio dall’ACEG, con i suoi oltre 600 allievi, per la formazione di tanti artigiani e di maestranze per la nascente industria delle macchine per la lavorazione del legno, che conobbe decenni di straordinario sviluppo a Carpi e dintorni, contribuendo in misura considerevole al benessere della nostra comunità.

 

Omaggio a Vittorino Carra

Devo invece riconoscere con gratitudine che, sulla figura di Vittorino Carra, consigliere comunale per 23 anni, si fornisce un profilo ampio e approfondito del ruolo da lui svolto, spesso in dialettica dura ma anche in decisiva, proficua collaborazione con il Sindaco Losi su questioni determinanti per la crescita della città, a partire dalla scelta del tracciato dell’Autobrennero con casello a Carpi (p.109) e della metanizzazione del nostro territorio. (p.105)

Sui meriti indiscutibili di questo nostro concittadino che, come nessun altro politico carpigiano fino ad ora, ricoprì pure importanti incarichi a livello nazionale, ancor oggi si sono ostinati a porre un velo ingeneroso taluni tardi epigoni del PCI egemone nella Carpi di quell’ormai lontano quindicennio; da ultimo con l’impedire de facto che gli fosse dedicata la Casa della Comunità, vanificando persino l’auspicio unanime espresso in tal senso dal Consiglio Comunale. Miserie che non fanno onore a questa città e alla sua storia recente.

Sono certo, e me ne rallegro anticipatamente, che il Direttore di VOCE, scherzosamente ma non a torto, definito dal Prefatore GUICCIARDINI nostrano, continuerà il racconto, rievocando presto la Carpi di Onorio Campedelli e successori.

 

 

 

 

 

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