Raffaele Sansone, primario di radiologia al Ramazzini, lascia dopo quasi 40 anni di servizio negli ospedali della provincia di Modena
Una storia di studio e umanità
di Luigi Lamma
“I carpigiani devono voler bene al Ramazzini perché è un patrimonio costituito da grandi professionalità e da una dotazione di tecnologie di assoluta qualità”, parola di Raffaele Sansone, direttore della struttura complessa di Radiologia dell’ospedale di Carpi, ormai ai saluti avendo raggiunto l’età per la meritata pensione. Di origine campane, laureato a Napoli nel 1982, grazie all’ammissione al corso di specializzazione di radiodiagnostica al Policlinico, da oltre 40 anni Modena è diventata la sua città. Così, un incarico dopo l’altro, il primo a Carpi, dove tornerà come primario nel 2013, poi a Modena, a Sassuolo, la docenza alla scuola di specializzazione, la carriera del dr. Sansone si è sviluppata parallelamente alla stima di dirigenti, colleghi e collaboratori. Un professionista apprezzato per le sue elevate competenze e per le non comuni doti umane e di empatia con i pazienti e i collaboratori. Qualità che si colgono anche nel breve colloquio con cui oltre alle domande “di rito”, il dr. Sansone ha raccontato tanto della sua passione per il lavoro, del rispetto per i maestri, della consapevolezza di quanto sia delicato il compito del radiologo per l’attività degli altri suoi colleghi. Soprattutto colpisce l’attenzione all’ospedale Ramazzini, la sua seconda casa, “arrivo ogni mattina prima delle 7, per sistemare l’attività del servizio, verificare i turni dei collaboratori, sento altri primari al loro posto a orari impensabili”, questo è un grande valore di uomini e donne dedite alla professione e al bene dei pazienti.
Dottor Sansone cosa prova in questo momento, dopo tanti anni di servizio e di responsabilità?
Come medico ho sempre dato la priorità ad aggiornamenti ed approfondimenti costanti per corrispondere a due mie necessità: l’amore per la medicina e per i pazienti, rispettivamente mezzo e fine di un uomo che sceglie di “essere” e non solo di “fare” il medico. Con i colleghi degli altri reparti ho condiviso percorsi e strategie, tutta la mia vita professionale si è intrecciata a quella personale, perché ho sempre dato grande importanza alle relazioni, all’aspetto umano in ogni ambito della mia esistenza.




