La
Lo sportello di Notizie
Pubblicato il Dicembre 28, 2025

La parola al centro

“Lo sportello di Notizie”: Guido Zaccarelli, consulente d’azienda, interviene su questioni inerenti il vivere quotidiano

Negli ultimi anni abbiamo sempre sentito pronunciare la “persona al centro”. Nelle fabbriche, nelle aziende, nei convegni, sui media: ovunque lo slogan riecheggiava, come un mantra da ripetere. Ora però è necessario fare un passo avanti e affermare che la “parola” è al centro. Se non lo facciamo, rischiamo di rimanere intrappolati in frasi ricorrenti, che perdono senso e valore perché entrano nelle abitudini quotidiane come un vestito che indossiamo senza pensarci, incapaci di interpretarne davvero il significato rispetto alle nuove esigenze del mondo del lavoro. Viviamo in un’epoca in cui il presente cambia forma con una velocità inedita. Le tecnologie si moltiplicano, i modelli sociali si riconfigurano, le abitudini di lavoro si fluidificano. Eppure, mentre tutto si trasforma, molte organizzazioni continuano a leggere la realtà con categorie del passato, convinte che basti adottare un nuovo software o ottimizzare un processo per restare competitive. Ma la verità è più profonda: non è soltanto il mondo a cambiare, è il modo in cui noi lo abitiamo.

Anche quando le imprese dichiarano di mettere “la persona al centro”, nella pratica mantengono spesso modelli organizzativi tayloristici e fordisti, eredità diretta dell’America dei primi del Novecento. Strutture verticali, procedure rigide, controllo minuzioso: un impianto che non parla più alla sensibilità delle nuove generazioni né alla complessità del lavoro contemporaneo. Così, alla dichiarazione di centralità della persona fa da contraltare un’organizzazione che continua ad abitare mentalità superate. È qui che nasce la frattura tra le aspettative dei dipendenti – autonomia, senso, riconoscimento – e le aziende che non riescono a cambiare passo. Una frattura che genera disorientamento, demotivazione, perdita di fiducia. Ed è proprio la fiducia, oggi, la vera risorsa competitiva. Non è un bene astratto: è ciò che permette alle persone di creare relazioni, gestirle, viverle. La fiducia è una corda sottile: se si spezza, tutto crolla. Ma su cosa si fonda? Su un elemento tanto semplice quanto sottovalutato: la parola.

Il tempo ha reso protagonista l’individuo, la tecnologia, la persona, la fiducia ed ora tocca alla parola. Per decenni abbiamo parlato di processi, strumenti, performance, efficienza. Abbiamo misurato tutto, tranne ciò che li rendeva possibili: il linguaggio. Oggi sappiamo che ogni relazione organizzativa nasce, vive o muore nella qualità delle parole scambiate ogni giorno tra colleghi, manager, clienti, partner. Per questo non basta più comunicare: occorre imparare a parlare in un modo diverso. A cambiare non è il “cosa”, ma il “come”. E il “come” fa la differenza tra una cultura aziendale che connette e una che disconnette. È la parola che apre o chiude possibilità, che costruisce o distrugge, che orienta, unisce, chiarisce e sostiene. Può ferire come un proiettile o posarsi lieve sulla spalla, accelerare un processo o bloccarlo, generare sicurezza o incertezza. E quando la pronunciamo, non sappiamo mai dove finirà: nel cuore di qualcuno, nella memoria, nel senso di valore o di esclusione.

La parola è come una finestra: può spalancare le sue ante al mondo, la-sciando entrare luce, aria e visione, illuminando l’identità delle persone; oppure può richiudersi, oscurando prospettive e spingendo chi la riceve a ritirarsi, restare in azienda con riserve o, in molti casi, ad abbandonarla, anche senza una nuova opportunità concreta. Le parole che all’inizio dovrebbero suggellare una relazione possono comportarsi come una corda tesa tra due persone: se si spezza, la fiducia crolla e chi era dall’altra parte se ne va. Oggi il futuro dell’organizzazione non passa più dagli strumenti, ma dalle conversazioni. Non dai processi, ma dai significati. Non dalla tecnologia, ma dal linguaggio che usiamo per abitarla. Entriamo così in un nuovo orizzonte in cui la parola non è più un mezzo: è la materia prima con cui costruiamo il lavoro, la fiducia, il benessere, la cultura. La grammatica, l’insieme delle regole che governano la struttura delle frasi, la sintassi, cioè il modo in cui le parole si combinano per dare senso a ciò che diciamo, e la pragmatica, lo studio di come il contesto e l’intenzione influenzano il significato delle parole, diventano strumenti concreti di leadership.

Inizia un tempo in cui parlare bene significa lavorare meglio. Un tempo in cui la competitività nasce dalla cura con cui scegliamo ciò che diciamo. Un tempo, finalmente, in cui la parola torna a essere ciò che è sempre stata: la forma più umana, e più potente, della leadership. E forse, un giorno, la parola diventerà il nuovo indicatore per misurare le performance, il vero ROI che tutti gli analisti cercano quando devono valutare la bontà degli investimenti. Non più solo numeri e margini, ma il potere delle parole come metrica di successo reale, capace di raccontare quanto un’azienda sappia far crescere le persone, le relazioni e la cultura che la sostiene. Ai professionisti della rubrica “Lo Sportello di Notizie”, gli auguri per un sereno Natele e un buon inizio di anno nuovo.

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