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Sulla fragilità di Dio

Contrappunti teologici tra guerre e pandemie, a dieci anni dai nostri terremoti.

di Brunetto Salvarani

 

Sulla fragilità di Dio

 

“Abbiamo imparato che non possiamo concepire progetti nemmeno per l’indomani, che quanto abbiamo costruito viene distrutto la notte successiva e che la nostra vita, a differenza di quella dei nostri genitori, è diventata informe e frammentaria. Posso comunque soltanto dire che non vorrei vivere in nessun altro tempo che il nostro, anche se esso è così indifferente al nostro benessere esteriore.” (Dietrich Bonhoeffer, Lettera del 23 febbraio 1944)

Chi risiede in Italia ormai lo sa, che dobbiamo convivere con un territorio fragile, e sempre più maltrattato, purtroppo, dall’azione umana, assente, rinviata o sbagliata. Un evento quale un terremoto fa emergere, spesso drammaticamente, le contraddizioni che ci abitano da troppo tempo.

Di fronte a esso, non vale appellarsi, leopardianamente, alla dimensione matrigna della natura, più che materna: c’è qualcosa di più. C’è una nostra responsabilità mancata. Ma non solo. C’è molto su cui sostare. Anche dieci anni dopo: dieci anni dopo i nostri terremoti.

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