Sulla fragilità di Dio
di Brunetto Salvarani
“Abbiamo imparato che non possiamo concepire progetti nemmeno per l’indomani, che quanto abbiamo costruito viene distrutto la notte successiva e che la nostra vita, a differenza di quella dei nostri genitori, è diventata informe e frammentaria. Posso comunque soltanto dire che non vorrei vivere in nessun altro tempo che il nostro, anche se esso è così indifferente al nostro benessere esteriore.” (Dietrich Bonhoeffer, Lettera del 23 febbraio 1944)
Chi risiede in Italia ormai lo sa, che dobbiamo convivere con un territorio fragile, e sempre più maltrattato, purtroppo, dall’azione umana, assente, rinviata o sbagliata. Un evento quale un terremoto fa emergere, spesso drammaticamente, le contraddizioni che ci abitano da troppo tempo.
Di fronte a esso, non vale appellarsi, leopardianamente, alla dimensione matrigna della natura, più che materna: c’è qualcosa di più. C’è una nostra responsabilità mancata. Ma non solo. C’è molto su cui sostare. Anche dieci anni dopo: dieci anni dopo i nostri terremoti.
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