La campagna pro vaccino
Un messaggio mediatico che invoglia a scappare
17 Gennaio 2021
Entrare nel ginepraio delle opinioni sul vaccino anti Covid è come entrare in un mercato delle pulci. Si trova di tutto e di più. C’è chi ne è assolutamente favorevole. Chi è favorevole, ma prima aspetta a vedere negli altri che effetto che fa. Chi ritiene di avere gli anticorpi tali da essere immune a prescindere, chi è assolutamente contrario e chi vede ovunque complotti delle multinazionali, intente a seminare terrore per far cassa. C’è anche qualche animella cristiana, con la fuga del cervello ma soltanto dal cranio, che vede nel vaccino la causa della modifica del Dna e quindi una profanazione delle leggi creatrici di Dio. Quindi? Peccato grave!
C’è probabilmente anche un fattore inconscio di rifiuto per ciò che percepiamo come forma di violenza fisica sul nostro corpo e verso la nostra libertà. E se a tutto questo aggiungessimo anche una inconsapevole allergia verso quell’ago che ti buca come un cotechino durante la bollitura? È da qualche tempo che considero assolutamente impropria la campagna mediatica sul vaccino. Non per le doverose informazioni che ci fornisce, quanto per le immagini che la accompagnano e che rischiano di risvegliare quella che scientificamente si chiama belonefobia. Che cos’è?
È la paura degli aghi, delle siringhe. In genere se ne va soggetti maggiormente quando si è giovani. Ricordo qualche prelievo fatto in adolescenza e i sudorini che ne facevano da premessa. Ma ricordo anche le liturgie preparatorie casalinghe della siringa e dell’ago bollito prima dell’uso, col flacone dell’alcol a portata di mano e il batuffolo di cotone a fianco. Non girava bene quando in casa vedevi la scena. Anche se non ne eri il destinatario, era sempre inquietante sapere che a qualcuno il medico aveva ordinato le punture. Di fatto quell’ago brandito come un’arma in mano dell’esperto di casa, quello pratico a far le iniezioni, assumeva i contorni simbolici della malattia e del dolore fisico. Se poi finivi dal dentista, per quella carie in fase terminale, più che al coraggio dovevi far ricorso all’ultimo residuo di masochismo che ti era rimasto dentro.
Non guardo più i servizi dei Tg sui vaccini, perché la “pallottola” delle scene mi entra dentro come l’ago delle immagini che passano sullo schermo. Braccia piccole, grosse, magre o ciccione e lì accanto l’ago che entra nel muscolo con la pressione che lo rende concavo, fintanto che non ha smesso di sputarti dentro il liquido della speranza. Dettagli anatomici in primo piano per risvegliarti dentro, almeno nelle intenzioni, approvazione ed esultanza. Dio, che bello! Che voglia di farlo anch’io! Ma perché non mettere in siringa anche le vitamine, l’aspirina, la magnesia bisurata, il citrato?
Hanno pagato fior di architetti per trovare un logo per la campagna sul vaccino che desse speranza, motivando i cittadini a superare le diffidenze. Con uno sforzo michelangiolesco hanno partorito quattro petali rosa. Ci hanno detto che si tratta di una primula, segno di primavera. Ma poteva benissimo trattarsi di un quadrifoglio passato per sbaglio in varechina. O una mattonella da bagno anni ’60 quando abbiamo smesso di usare i servizi ubicati nel campo o nell’angolo del balcone.
Sta di fatto che le buone intenzioni, quelle di rincuorare il sospettoso cittadino, più che ai petali incerti di un incerto simbolo floreale, si sono infrante sulla puntura di un ago, pronta a bucare la pelle e il muscolo deltoide delle nostre braccia. Ma perché non farci passare invece il viso sorridente di un anziano o quello rassicurante di un medico, felici di aver avuto il trattamento, evitando l’anatomia ravvicinata dell’infilzamento? Poco male, direte voi, se questo serve a salvare la pellaccia. Già. Se poi ce la salvassero anche con leggerezza, ci sentiremo doppiamente salvati.