“Vieni e vedi”. Social media terra di missione
Una sfida che Notizie ha raccolto con una rinnovata presenza sui social e in attesa di lanciare il nuovo sito del giornale online
Il 24 gennaio la Chiesa celebra la memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli operatori della comunicazione. È consuetudine che in questa occasione il Papa divulghi il messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (GMCS), la cui 55ma ricorrenza cadrà a Maggio 2021 e che avrà come tema: “«Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone come e dove sono”. Si tratta di una sollecitazione che ci tocca da vicino, in questo periodo di rinnovamento che vede Notizie, e più in generale tutti i media ecclesiali, impegnarsi in una maggiore presenza e diffusione dei propri contenuti in rete e sui social network.
Dal numero di Notizie del 24 Gennaio 2021
di Alessandro Cattini
“Vieni e vedi”: dalla strada alla rete
Specialmente in un tempo segnato da distanziamento fisico, smart working, connessioni sempre più pervasive e risoluzioni tanto epocali quanto controverse adottate di recente dai “big” di Internet nei confronti del presidente uscente degli Stati Uniti, ci pare che lo slogan scelto dal Papa non possa non implicare un invito ad avvicinarsi con maggiore consapevolezza a quei luoghi virtuali, ma non per questo meno reali, che sono i social network, per vedere con più chiarezza chi sono (e chi diventano) le persone che li frequentano. Pur non conoscendo, nel momento in cui scriviamo, il contenuto del messaggio del Papa, ne riprendiamo il tema come utile spunto di riflessione, perché crediamo che questa sia l’occasione giusta per iniziare un confronto che metta al centro con urgenza, anche a livello locale, il rapporto tra comunicazione, giornalismo e piattaforme social. Sembra infatti che, solo esplorando (anche) questi contesti e imparando ad abitarne le dinamiche fino a “scendere in rete” per entramato, re empaticamente in relazione con chi sta dall’altra parte dello schermo, i cristiani del 21° secolo potranno condividere a pieno “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi”, come ci esorta a fare la costituzione conciliare Gaudium et spes.
La scelta di paragonare la rete digitale alla strada, dove “si scende” per incontrare i poveri e i ricchi, chi lavora e chi viaggia, chi scappa e chi cerca fortuna, non è casuale: anche i social, infatti, sono un luogo e non un “medium”, ovvero un “semplice mezzo” per stare in contatto gli uni con gli altri. Potremmo persino spingerci a dire, insieme al filosofo Günther Anders (L’uomo è antiquato I, 2007), che i social, in quanto generati all’interno del contesto tecnologico, sono un vero e proprio “mondo” dove le cose accadono indipendentemente dalla nostra volontà di servirci o meno degli strumenti che ci permettono di accedervi. Un mondo in cui attualmente vige una sola regola: catturare la nostra attenzione.
Algoritmi a servizio del profitto di pochi
Come viene mostrato nell’ormai celebre documentario The Social Dilemma (Orlowski, 2020), grazie agli smartphone che portiamo sempre con noi, gli algoritmi (le “regole” che governano il mondo dei social) oggi possono raggiungerci di continuo con infinite notifiche e stimoli. Raccolgono dati, li analizzano e trovano strategie per instillare in noi nuovi bisogni che con il tempo modificano il nostro comportamento e la nostra percezione della realtà. Queste piattaforme filtrano senza il nostro controllo le notizie che possiamo visualizzare sulle nostre “bacheche” e influenzano nello stesso modo la vita delle persone intorno a noi, facendo di tutto per trattenerci davanti allo schermo il più a lungo possibile.
Il motivo? Mostrarci sempre più spazi pubblicitari acquistati dagli inserzionisti (i loro reali clienti) con la garanzia che, grazie ai dati raccolti sui nostri comportamenti, le loro pubblicità verranno sempre propinate alla persona giusta al momento giusto.
Ma il tempo è tiranno e l’attenzione umana una risorsa scarsa. Per questo gli algoritmi a servizio degli inserzionisti hanno “imparato” a dirottarci soprattutto verso quei contenuti che, per via di alcune vulnerabilità intrinseche dei nostri processi mentali, sono in grado di coinvolgerci più a lungo e più intensamente,
fino a farci raggiungere quella familiare condizione (in cui tutti ci siamo trovati almeno una volta) nella quale ci sembra di perdere la cognizione del tempo.
Sfortunatamente, come evidenziano gli esperti del Center for Humane Technology di San Francisco (www. humanetech.com/), questi contenuti coincidono quasi sempre con teorie del complotto e fake-news. Queste ultime alimentano “bolle” di disinformazione autoreferenziali e dannose, capaci di “scoppiare” e convertirsi in tragedie che non hanno nulla di virtuale, specie nel modo in cui mettono a repentaglio la vita degli individui e la democrazia. È il caso di quanto avvenuto alla Casa Bianca lo scorso 6 gennaio.
In altri casi, le dinamiche di dipendenza innescate dai social network possono compromettere la salute mentale delle persone, distruggere la loro autostima, provocare alienazione e depressione o travolgerle con “discorsi d’odio” che vengono spesso perpetrati ai danni altrui nell’anoni- come ricorda anche Papa Francesco in un passo dell’enciclica Fratelli Tutti (cfr. FT nn. 42-53).
Sale e luce
In quanto giornalisti e comunicatori, quando ci avviciniamo a questa realtà non possiamo non essere consapevoli delle regole che la governano, o rischieremmo di diventare complici di logiche che sfruttano le vulnerabilità psichiche dell’essere umano per trarne un profitto destinato a pochi. Ma come abitare, da cristiani, uno spazio così contraddittorio?
Da un lato, come l’apostolo Filippo fa con Natanaele (Gv 1,46), possiamo servirci dei molti canali di comunicazione che abbiamo a disposizione per educare e aiutare i nostri lettori e “follower” a vedere tutte le sfaccettature del mondo virtuale: tanto quelle più oscure quanto le sue meravigliose potenzialità, che è quasi superfluo elencare in un momento storico come questo, nel quale il web e i social hanno spesso rappresentato, per molti di noi, un’ancora di salvezza. Come luce, che Gesù ci invita a essere per il mondo (Mt 5,13-16), possiamo provare inoltre a illuminare i punti critici del web, pretendendo maggiore trasparenza e responsabilità da coloro che gestiscono queste piattaforme. Elaborare e sostenere nuove politiche che li obblighino a esercitare le loro attività commerciali in modo rispettoso e attento alla fragilità umana può essere un primo passo.
Dall’altro lato, poiché consapevoli dei rischi manipolativi cui gli algoritmi espongono i nostri “follower” (persino quando siamo mossi dalle migliori intenzioni nei loro confronti), non dovremmo mai rinunciare a cercare con cura parole non ostili né polarizzatrici, sensazionalistiche o violente con cui raccontare la realtà. Solo così potremo diventare quel sale capace di alimentare il gusto di fare comunità e incontrarsi al di là degli schermi, faccia a faccia, ogniqualvolta sia possibile. Perché, per dirlo di nuovo con le parole di Papa Francesco, “c’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana” (FT, n. 43).
Leggi il commento al messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali