Dio
Il Settimanale, In cammino con la Parola, Spiritualità
Pubblicato il Marzo 25, 2021

Dio mio, perchè mi hai abbandonato?

Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica delle Palme, 28 Marzo 2021

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 14,1-15,47)

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». (…) Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere (…). Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!». (…) Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, (…) con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto (…). Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro.

Commento

Nella Domenica delle Palme leggiamo ogni anno la passione di Gesù secondo la redazione di uno dei vangeli sinottici. Quest’anno sentiremo proclamare la passione secondo Marco. Ogni evangelista racconta gli ultimi eventi della vita di Gesù secondo una sequenza tipica, che è quella che conosciamo bene, ma anche introducendo delle particolarità che svelano l’intenzione propria dell’autore nel narrare il mistero della morte e resurrezione. Marco è di solito considerato un narratore che non teme di mostrare la cruda realtà della passione, non risparmia ai suoi personaggi situazioni imbarazzanti e riempie il suo racconto di particolari. Anche per questo varrebbe la pena di trovare il tempo per leggere la passione con un po’ di tranquillità.

All’inizio del racconto della passione durante una cena a Betania una donna unge il capo di Gesù con olio profumato di nardo, di gran valore. È un gesto d’amore e di profezia che anticipa la morte di Gesù e rimanda al giorno della resurrezione in cui le donne andranno alla tomba per ungere il corpo e la troveranno vuota. La parte della cattura e del processo è tutta caratterizzata dal verbo consegnare. Gesù è consegnato da Giuda al momento del tradimento, poi i sommi sacerdoti lo consegnano a Pilato il quale lo consegna ai soldati perché lo crocifiggano. Gesù è in balia degli uomini che, ognuno con le sue motivazioni, giudicano la sua vita e vogliono condannarlo. Ma il vangelo lascia intuire che in tutto questo si compie la volontà del Padre; nel linguaggio del nuovo testamento un verbo al passivo può sempre lasciare intendere che chi davvero compie l’azione è Dio: a ben vedere Gesù è consegnato o meglio donato dal Padre per la salvezza degli uomini. Così anche san Paolo nella lettera ai Romani: «Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). Allora emerge l’idea che nell’equivocità dei comportamenti e delle motivazioni umane il piano di Dio si fa strada comunque. Siamo in buone mani.

Abbà: parola aramaica che significa “padre”, in particolare nell’uso familiare e confidenziale. Nei vangeli si trova unicamente in Marco (Mc 14,36). Nel nuovo testamento è presente anche in Rm 8,15 e Gal 4,6. Anche nell’antico testamento si usava riferirsi a Dio come padre ma Gesù ha rivelato che l’essere padre è un aspetto decisivo del volto di Dio.

Gesù consegnato è abbandonato anche dai suoi amici che si mostrano timorosi di fronte a questi terribili eventi. Il versetto di Mc 14,50 è lapidario: «allora tutti lo abbandonarono e fuggirono». Compare qui la figura enigmatica di un ragazzo vestito solo di un lenzuolo che corre via nudo. È difficile decifrare questa scena, alcuni pensano che il ragazzo sia lo stesso evangelista Marco. Probabilmente questa figura ha un valore simbolico è va compresa assieme al giovane con la veste bianca che le donne vedono nel sepolcro la mattina di Pasqua. Al momento della passione Gesù rimane solo e affronta la paura della morte, come ogni uomo. Ma nella preghiera al Getsemani, prima della cattura, si rivolge con grande confidenza a suo padre, al quale sente di potersi affidare totalmente. Troviamo qui l’unica preziosa attestazione della parola “abbà” riportata nei vangeli. La scena del Getsemani ci fa capire qualcosa di quello che Gesù vive ma tutto il racconto della passione ci vuole mostrare chi Gesù è.

Giovane: colui che corre via nudo è indicato come neaniskos. Lo stesso termine è usato da Marco per indicare il giovane vestito di una veste bianca che annuncia alle donne che Gesù è risorto.

I personaggi che Marco descrive hanno una loro opinione su chi sia questo Gesù o almeno s’interrogano. Il sommo sacerdote chiede se Gesù sia il Messia atteso, Pilato chiede se sia il Re dei Giudei e così lo chiamano i soldati che lo deridono e lo torturano. Senza volere usano parole che affermano la verità, ma non hanno un cuore capace di capire. Solo al momento della morte il centurione riconosce a nome di tutti: «davvero quest’uomo era Figlio di Dio». La salvezza viene dal riconoscere in Gesù crocefisso il Messia, il Figlio di Dio. Un gruppo di donne è presente sempre: al momento della morte, quando il corpo è deposto nel sepolcro e al sepolcro vuoto; la loro testimonianza collega la morte e la resurrezione di Gesù perché se la croce ci rivela chi è Gesù, la resurrezione fa iniziare una storia nuova in cui il Signore è sempre presente in mezzo ai suoi.

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