«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria»
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 4 Luglio 2021
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,1-6)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. (…)
Commento
Gesù va nella sua patria, dunque s’intende presumibilmente Nazareth ed entra nella sinagoga per predicare, com’era suo solito. Per il vangelo di Marco il ministero di Gesù avviene in sinagoga, almeno fino al brano di oggi nel quale è contestato. Da qui in avanti non troveremo più Gesù in una sinagoga. L’insegnamento nella sinagoga di Nazareth e la relativa contestazione sono riportati da tutti gli evangelisti. Matteo lo colloca alla fine dell’insegnamento in parabole (Mt 13, 53-58) per sottolineare le divisioni create dall’insegnamento di Gesù; Luca lo colloca all’inizio dell’insegnamento di Gesù e lo riempie di contenuti (Lc 4,1630); Giovanni fa risaltare nel prologo il rifiuto da parte dei compaesani: «ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11).
Da queste attestazioni nel loro complesso deriva che si può considerare storicamente molto probabile che Gesù sia stato rifiutato nel suo villaggio. Marco riporta una serie di cinque interessanti domande e dubbi che i suoi compaesani si fanno. La prima riguarda la fonte del potere e dell’autorevolezza di un uomo che in realtà non è apparentemente portatore di alcuna credenziale che lo renda speciale rispetto ai suoi uditori. La seconda specifica la qualità sapiente del discorso di Gesù (si noti che questo è l’unico caso in cui Marco usa la parola sapienza, sophia). La terza si sofferma sui prodigi, miracoli ed esorcismi, che accompagnano questa sapienza e sulla forza divina che li rende possibili. Poi seguono la quarta e quinta domanda che riguardano direttamente la persona di Gesù e il suo essere del posto.
Troviamo qui elementi molto interessanti. Gesù è detto il falegname, non il figlio del falegname. Dunque Gesù stesso lavorava come falegname, mestiere che aveva imparato dal padre Giuseppe. Questa informazione ci parla di un Gesù che conosce profondamente il lavoro e possiamo quasi comprendere la sorpresa di chi vede a un certo punto un artigiano comportarsi da profeta. Notiamo poi che è indicato come il “figlio di Maria”, espressione che compare solo qui in Marco e che non è priva di una nota di svalutazione, di solito uno era identificato come “figlio di” un padre.
Falegname: in greco tekton, che normalmente si traduce come “falegname” ma che indica chiunque lavora con le mani materiali duri, quindi in generale un costruttore edile o uno scalpellino.
Poi c’è la questione dei fratelli e delle sorelle di Gesù, che indicano una famiglia conosciuta e dunque dalla quale non ci si può aspettare esca un grande personaggio (coerentemente con l’autosvalutazione tipica di molte mentalità paesane). Naturalmente la questione dei fratelli di Gesù ha suscitato varie domande fin dall’antichità e ci sono state diverse risposte. Nella storia i commentatori hanno dato sostanzialmente tre risposte: (1) i fratelli erano i figli naturali di Maria e Giuseppe (tesi sostenuta da Egesippo (2° sec), Tertulliano (2° sec) e modernamente da studiosi non cattolici e cattolici come Rudolf Pesch e Jhon P. Meier), (2) una seconda ipotesi è che fossero figli di Giuseppe di un precedente matrimonio, (3) San Girolamo è del parere che il termine fratelli possa essere tradotto con cugini e questa opinione è sostenuta dalla maggior parte degli esegeti cattolici ed anche da molti non cattolici.
Tutte queste domande e sostanzialmente il fatto che Gesù sia persona conosciuta sono motivo di scandalo e impediscono alla maggior parte dei presenti di credere. Gesù rimane impressionato dal non trovare la fede e applica a se stesso un proverbio che doveva essere famoso sul fatto che un profeta è sempre disprezzato nella sua patria e tra i suoi parenti. A ben vedere potremmo essere scandalizzati anche noi da alcune cose. Prima di tutto il fatto che Gesù facesse un lavoro manuale come la maggior parte delle persone del suo tempo. Non era un intellettuale e nemmeno un colto religioso di professione, la sua genialità religiosa è tutta frutto della sua esperienza di vita. Poi l’ordinarietà delle sue origini famigliari che lo inserisce nel suo popolo come uno tra tanti in maniera indistinguibile.
I profeti non accettati in patria: altri aforismi del genere si trovano nel vangelo apocrifo di Tommaso: «un profeta non è accettabile nella sua patria; un dottore non guarisce quelli che lo conoscono» e anche nella Vita di Apollonio di Tiana di Filostrato: «Finora il mio paese mi ha trascurato».
L’incarnazione non ha bisogno di trovare un’umanità speciale ma è il normale essere uomo che diventa luogo della presenza di Dio. Anche per noi non dobbiamo immaginare un certo raffinato livello di umanità ma scommettiamo che l’ordinario umano, quando non è irrimediabilmente corrotto dal peccato, è sempre il luogo in cui incontrare il Signore.